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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Ferdinando Tacconi - Il disegno aristocratico

Aggiornamento: 3 giorni fa

Disegnatore di stampo classico e moderno allo stesso tempo, si è distinto per essere uno dei migliori autori di fumetti della sua generazione.

Da sempre appassionato di disegno, Ferdinando Tacconi - nato il 27 dicembre del 1922 a Milano - coltiva quella sua predisposizione frequentando la Scuola Superiore d'Arte Applicata del Castello Sforzesco e, successivamente, la Scuola di nudo dell'Accademia di Brera.

Nel 1942 viene arruolato e parte in guerra dove svolge funzioni di marconista nella Regia Aeronautica. Terminato il conflitto e finito il servizio militare, nel 1946, a soli 24 anni, inizia a lavorare per la casa editrice Mondadori come illustratore per riviste femminili e, un anno dopo, comincia una collaborazione con l'editore Pasquale Giurleo approdando ai fumetti con serie come "Morgan il pirata", "Jack il pilota" e "Miss Diavolo", oltre che con i popolarissimi "Sciuscià", "Il Piccolo sceriffo" e "Nat del Santa Cruz" per l'editore Tristano Torelli, realizzando materiale anche per il mensile "Totem", ma parallelamente riesce a portare avanti comunque la professione di illustratore in molte riviste dell'epoca.

Entra poi in contatto con il disegnatore Giorgio Bellavitis e il fondamentale Studio Dami di Rinaldo "Roy" Dami, tramite cui comincia una lunga e massiccia collaborazione con la casa editrice inglese Fleetway, specializzandosi soprattutto in storie di guerra (pubblicate successivamente in Italia dalla Dardo) ma producendo anche la versione a fumetti della nota trasmissione radiofonica "Journey in to Space" e disegnando tavole didattiche per la rivista "Look and Learn", in cui avrà modo di perfezionare il suo stile e dove, pur se i suoi riferimenti verso il fumetto americano classico sono e rimangono evidenti, soprattutto verso i lavori di Milton Caniff e Alex Toth, comincia a sviluppare quel segno assolutamente personale, elegante e raffinato che contraddistinguerà i suoi lavori futuri.

Per l'autore è un periodo vivacissimo in cui crea ad una quantità impressionante di materiale. Negli anni '70 torna poi a lavorare per il mercato italiano dedicandosi in un primo momento all'illustrazione di testi scolastici (aveva già avuto esperienze simili in Inghilterra), per poi riprendere subito in mano i fumetti per uno degli editori più attivi di quel periodo, Renzo Barbieri, pioniere del fumetto erotico. Per la Edifumetto, la casa editrice di Barbieri, disegna quindi alcuni episodi della serie "Il Barone Rosso" e moltissime copertine di altre pubblicazioni, tra cui quelle per alcuni dei personaggi più noti del genere, tipo "Jacula", "Lucrezia" e "Zora la vampira". Si allontana da questo tipo di pubblicazioni quando iniziano a diventare più spinte, sconfinando non di rado nella pornografia, e trova lavoro in Francia presso l'editore Larousse su fumetti prettamente didattici ("L'Histoire de France", "L'Histoire du Far West" e "Les Grandes Découvertes").


Tra le opere a fumetti per cui è giustamente conosciuto va sicuramente ricordato il ciclo de "Gli aristocratici", una banda di ladri gentiluomini creati da Alfredo Castelli nel 1973 sulle pagine del "Corriere dei ragazzi" (ripubblicati in volume in più occasioni, come di recente dalla casa editrice Nona Arte) e, su testi di Gino D'Antonio, la miniserie dedicata a "Mac lo straniero", personaggio pubblicato prima sulla rivista "Orient Express" e poi ne "I Protagonisti", la serie di volumi brossurati edita in edicola dalle edizioni L'Isola trovata, la casa editrice fondata da Luigi Bernardi nel 1978 e rilevata da Sergio Bonelli nel 1982.

Alla fine degli anni '70, per la Cepim di Sergio Bonelli disegna due volumi della prestigiosa collana "Un uomo un'avventura": "L'Uomo del deserto" e "L'Uomo di Rangoon" (ed è proprio grazie al primo di questi due volumi che io scoprii il lavoro di questo disegnatore, rimanendo letteralmente folgorato dalla copertina - quella che apre questo post -, che tentai non so quante volte di ridisegnare cercando di capire come aveva fatto a rendere così affascinante quell'immagine), entrambi scritti ancora da D'Antonio, mentre, negli ultimi anni, per la Sergio Bonelli Editore lavora a serie come "Dylan Dog", "Nick Raider" e "Mister No". Sempre con D'Antonio, ma per la storica rivista "Il Giornalino", disegna "Susanna" e, soprattutto la lunga serie di "Uomini senza gloria" (ristampata ne "Gli albi di Orient Express" con il titolo "La Seconda Guerra Mondiale"), uno dei suoi migliori lavori (in cui riesce a dare anche sfogo alla sua passione per gli aerei).


Nel 2001 al XXV Salone internazionale dei comics di Roma gli viene assegnato lo "Yellow Kid – una vita per il fumetto".

Ferdinando Tacconi viene a mancare l'11 maggio del 2006, a causa di problemi di salute che negli ultimi tempi lo avevano costretto a isolarsi, limitandone gli spostamenti.

Il 26 maggio del 2007, a Reggio Emilia, gli è stato assegnato postumo un prestigioso riconoscimento alla memoria, per il valore del suo operato nel campo dei fumetti.


QUI, QUI, e QUI trovate dei validi esempi della sua arte, ma tutte le opere sopra elencate, a mio giudizio, non dovrebbero mancare nelle librerie di un appassionato di fumetti.

Un volume dedicato a questo autore assolutamente da recuperare è poi il 4° numero della serie "Profili" editi dalla Glamour International, curato da Gianni Brunoro e Antonio Vianovi e intitolato "Ferdinando Tacconi, i colori dell'avventura".

Verso Ferdinando Tacconi mi è rimasto un particolare rimpianto, da quando, un giorno di tanti anni fa, lo incrociai per caso davanti agli uffici della Sergio Bonelli Editore e fu lui a fermarmi per farmi degli apprezzamenti per il lavoro che stavo facendo (in quel periodo su "Magico Vento"), ma ero davvero agli inizi e mi sembrò una cosa esagerata, del tutto inaspettata e che mi spiazzò totalmente. Quel suo gesto, così spontaneo, fu per me però un incoraggiamento davvero prezioso, che non ho più dimenticato, come non ho dimenticato i suoi modi pacati e gentili, evidenti anche in quel breve incontro. Avrei voluto dirgli mille cose - tra cui anche come Ivo Milazzo (l'autore da cui ho imparato questo mestiere) mi aveva fatto capire la bellezza del suo stile di inchiostrazione e di come lui stesso ne era rimasto influenzato -, e chiedergliene altrettante, ma avevo un po' di fretta e la cosa si arenò subito solo con alcuni miei ringraziamenti, terribilmente impacciati. Pochissimo tempo dopo seppi che era venuto a mancare. La cosa mi colpì molto. Ho ripensato spesso a quel momento, come ad un'occasione unica per parlare con un disegnatore che era stato così importante per il fumetto italiano e per la mia formazione professionale, anche del modo che aveva di intendere questo lavoro - come molti della sua generazione -, cosa a cui mi sentivo affine, e che invece, solo per la fretta che la quotidianità ci impone, ho perso. Questo piccolo post è di certo un ricordo a lui dedicato, ma, in qualche modo, anche un tentativo di rimediare a quella possibilità solo sfiorata.


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