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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Gino D'Antonio - L'uomo del fumetto

Aggiornamento: 31 ago 2022

Uno dei più grandi rappresentanti del fumetto italiano era un mago del dinamismo, e i suoi disegni a volte bisognava inseguirli con lo sguardo tra le tavole che componeva.

Nelle occasioni in cui mi sento dire: "Sei un Maestro", non manco quasi mai di rispondere che: "No, non lo sono, e la strada per poterlo diventare, nel caso, è ancora molto lunga". Non dico questo per eccessiva modestia ma perché ritengo che Maestro sia una parola importante e con un significato ben preciso, prezioso, e che invece negli ultimi anni, nel settore del fumetto ma non solo, è stata usata spesso a sproposito (leggero eufemismo), arrivando a svilirla etichettando in tal modo anche gente che aveva appena toccato - a volte solo per errore - una matita. Gino D'Antonio, invece, un Maestro lo era eccome.


Nato a Milano il 16 marzo del 1927 e figlio, artisticamente parlando, di Milton Caniff, Alex Toth e di un altro Maestro del fumetto italiano, Rinaldo "Roy" Dami, D'Antonio era un vero mago del disegno (e del disegno a fumetti ancora di più) e aveva il racconto nel sangue. Difficilmente si arrivava a vedere nelle sue tavole delle inquadrature sbagliate o non adeguate ad un passaggio narrativo, per non parlare delle espressioni o degli atteggiamenti dei personaggi, le atmosfere e l'attenta ricostruzione del periodo storico che stava trattando (tutte cose che dovrebbero essere nel normale background di ogni disegnatore di fumetti mediamente preparato, ma che spesso non lo sono. Tutte cose che fanno poi la differenza tra un normale disegnatore e un autore). Era anche un mago del dinamismo - vedere per credere - e i suoi disegni a volte bisognava davvero inseguirli con lo sguardo tra le vignette che componeva.

Il suo esordio nel mondo del fumetto arriva nel 1947, quando ha solo vent'anni, con la serie "Jess Dakota", di cui realizza testi e disegni per l'editore Mario Oriali. L'anno successivo inizia a collaborare a "Il Vittorioso", storico e prestigioso settimanale a fumetti, mentre nel 1951 entra a far parte dello staff dei disegnatori di "Pecos Bill", serie nata pochi anni prima e diventata uno dei più grandi successi dell'intera storia del fumetto italiano, scritta da Guido Martina per l'editore Mondadori e ispirata al personaggio ideato da Edward O'Reilly nel 1917 e alla serie a fumetti americana pubblicata per tutti gli anni '30. I disegni furono affidati a Raffaele Paparella, ma al personaggio collaborarono, oltre a D'Antonio, anche Dino Battaglia, Antonio Canale, Roy D'Amy, Pier Lorenzo De Vita e Pietro Gamba. Dopo due anni decide però di tornare a "Il Vittorioso", per cui realizza, tra l'altro, la "Storia di Re Artù" su testi di Mario Leone. In questo periodo avviene anche la sua prima, vera esperienza da sceneggiatore, anche se in maniera un po' anomala, dimostrando quel carattere deciso che poi confermò nel tempo: senza avvisare l'editore riscrive infatti parte della sceneggiatura de "Il fortino sull'Huron" firmata da Sandro Cassone, di cui D'Antonio doveva realizzare solo i disegni. Durante gli anni '50 lavora saltuariamente anche con le Edizioni Audace realizzando storie di "El Kid" (1954) e "I tre Bill" (1955), entrambi su testi di Gian Luigi Bonelli, ma la svolta professionale arriva nel 1956, quando inizia a collaborare per il prestigioso studio di Roy D'Ami realizzando molto materiale per l'editore britannico Fleetway, di solito storie di guerra ma anche adattamenti a fumetti di grandi opere di narrativa, come "Ventimila leghe sotto i mari" e "Moby Dick".


La competenza e la passione verso il genere western che ha maturato e sviluppato negli anni gli permettono di arrivare a realizzare un'opera a fumetti anomala e davvero significativa sotto molti punti di vista: "Storia del West". Una lunga serie composta da poco più di 70 albi, tutti scritti da D'Antonio e molti anche disegnati da lui, che si è avvalsa della collaborazione ai disegni anche di tanti altri maestri del fumetto western, gente come Renzo Calegari, Giorgio Trevisan, Sergio Tarquinio e Renato Polese, e dove, oltre alle informazioni sugli innumerevoli avvenimenti che hanno caratterizzato quell'epopea, nelle tavole fanno capolino citazioni a grandi pittori e illustratori americani, come Frederic Remington, Charles M. Russell o Frank Schoonover, come anche alle fotografie di Edward Sheriff Curtis e di molti altri suoi colleghi. Il primo numero, "Verso l'ignoto", esce nel giugno del 1967 edito nella "Collana Rodeo" delle Edizioni Araldo di Sergio Bonelli, e l'ambizione è quella di raccontare per la prima volta il West in modo storicamente attendibile senza però rinunciare al lato avventuroso.

La caratteristica principale della saga è infatti proprio il rigoroso lavoro di documentazione che l'autore si impose per rappresentare con realismo il Far West nei fumetti. I principali personaggi sono i componenti di due famiglie, i MacDonald e gli Adams, che ripercorrono tutti i momenti più importanti di quel periodo, tra necessaria finzione e avvenimenti storici, dal 1804 fino agli anni '80 dello stesso secolo, incrociando la loro strada con quella dei veri protagonisti della Frontiera, da James Butler "Wild Bill" Hickok (1837-1876) a William Frederick Cody detto Buffalo Bill (1846-1917) da Toro Seduto (1831-1890) a Cavallo Pazzo (circa 1840-1877), da Geronimo (1829-1909) a George Armstrong Custer (1839-1876). Ma i MacDonald e gli Adams, come anche gli altri personaggi ideati da D'Antonio nella serie, non hanno il destino immutabile tipico dei protagonisti dei fumetti, perché, albo dopo albo, li si vede invecchiare e in alcuni casi anche morire, quindi i lettori non sanno mai cosa aspettarsi dal numero successivo, cosa che rende la fruizione degli albi particolarmente appassionante. Per intendere correttamente cosa significò la pubblicazione di "Storia del West" è necessario inquadrare gli anni in cui uscì: il fumetto italiano è in pieno boom e le edicole traboccano di settimanali a fumetti (tipo "L'Intrepido" o "Il Monello") che vendono milioni di copie; c'è il "Topolino" della Mondadori che riscuote un successo enorme; ci sono ovviamente "Tex", che veleggia intorno alle 800.000 copie, e "Zagor"; poi "Maschera nera" e "Alan Ford", altri due successi quasi immediati; e i grandi personaggi della Dardo, titoli come "Il Grande Blek" e "Capitan Miki". Il fumetto è anche in veloce trasformazione ed è già presente il fumetto nero, con "Diabolik", "Kriminal" e "Satanik", come anche quello erotico, che è appena nato ma che spopolerà da lì a breve. Arriva di conseguenza anche un'altra interpretazione dell'eroe, più matura e sfaccettata, a cominciare dall'apparizione di "Corto Maltese", anche lui nato nel 1967, lo stesso anno di "Storia del West", che a sua volta, e in maniera definitiva, introduce personaggi dove la distinzione tra buoni e cattivi non è più così scontata. È il grande periodo del fumetto western, ma in realtà tutto il fumetto italiano in quegli anni gode di ottima salute; le distrazioni sono poche, un'alternativa a buon mercato è quel tipo di lettura, e si legge moltissimo. La saga di D'Antonio, forse in anticipo sui tempi, non riesce a catturare un pubblico vasto quanto quello degli altri contemporanei eroi di carta, ma si guadagna un successo di critica senza precedenti e dei lettori fedelissimi che attendono ansiosamente l'uscita degli episodi successivi. Sono molte le caratteristiche di modernità introdotte dall'autore, e così importanti da rendere la serie tuttora una lettura attualissima, a cominciare dal fatto che è concepita come un racconto corale, dove i personaggi, come detto, intrecceranno i loro incerti destini con quelli dei veri protagonisti dell'Ovest americano. Moderno è anche il disegno, che, pur se classico come impostazione, risulta essere innovativo e insolito nella dinamica impaginazione; gli autori si concedono spesso vignette scontornate (all'epoca in Bonelli non era permesso, e le cose apparse in quella serie si vedranno solo dopo molti anni in altre pubblicazioni), a volte anche immagini "in cinemascope", con vignette quadruple. Tutto questo senza mai tradire le intenzioni di Bonelli verso la leggibilità: D'Antonio non è mai stato un autore vanesio o superficiale, e tutto quello che ha fatto si è sempre poggiato su una struttura narrativa solidissima e sensata. La narrazione, quindi, che è il vero punto di forza della serie. Nello spazio di un albo D'Antonio riesce a raccontare interi capitoli della vera storia del West, ottimamente ricostruiti, facendoli sembrare dei film a fumetti e non, come sembra riuscire solo a fare la maggioranza dei suoi colleghi di allora e di oggi, episodi di un telefilm. Il linguaggio è chiaramente influenzato dal cinema (anche se D'Antonio fa ancora uso delle didascalie, che verranno eliminate invece una decina di anni dopo nel "Ken Parker" di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. Ma tutti i fumetti western italiani, non solo quelli successivi ma anche quelli già esistenti, in qualche modo vennero influenzati da "Storia del West") con un uso esemplare dei personaggi e della messa in scena. Vanno poi evidenziati i dialoghi, asciutti ma sempre ragionati, ricchi e significativi. La saga è quello che oggi si potrebbe intendere come un prodotto d'autore, come testimoniato anche dai tempi di produzione dei singoli episodi, che sono discretamente più lunghi di quelli dei personaggi che escono in contemporanea, e infatti la cadenza degli albi della serie non fu mai mensile, alternandoli con gli altri titoli che regolarmente apparivano nella "Collana Rodeo".

Molti albi di "Storia del West" scritti e disegnati da lui sono poi delle vere e proprie perle, che consiglio caldamente a chi non li conosce, tipo "Il ponte", "La pista d'acciaio" o "I mercenari", e quest'ultimo, a mio parere, racchiude la quinta essenza del lavoro fatto da quell'autore in quegli anni, evidenziandone l'enorme abilità narrativa. "Hai mai sofferto la fame? Hai mai visto i tuoi figli chiederti di che vivere con occhi muti? No, non puoi sapere queste cose", dice Cochise a Bill Adams in una delle scene più drammatiche dell'albo.

Scritto nello suo tipico stile, diretto e concreto, "I mercenari" offre anche un'amara riflessione su come a volte viene intesa la giustizia, al riguardo del fatto che le persone (come i popoli) vengono spesso giudicate per quello che si vorrebbe addossargli, più che per le reali colpe, ad uso e consumo di alcuni (o della maggioranza).

In tutta la serie, pur se caratterizzata da uno sguardo moderno sul genere western, imponendosi di ritrarre con rispetto e attenzione le culture dei nativi, D'Antonio non tenta mai di rendere più accettabili ai nostri occhi i costumi e le usanze dei pellerossa, e quindi non si trovano qui edulcorazioni di nessun tipo: in "Storia del West" i loro vizi e le loro virtù (come ovviamente quelli degli invasori bianchi) sono messi sempre in rilievo dall'autore, e in questo caso gli apaches, per ben equilibrare i temi e le questioni narrate, sono descritti come predoni, anche spietati, se è necessario alla sopravvivenza della tribù.

E' la legge della natura, e il territorio dove vivono non ammette nessuna debolezza da parte loro.

Dal punto di vista grafico, qui D'Antonio fa fare un salto in avanti al suo lavoro: alla matrice fortemente e solidamente classica si unisce una spinta innovatrice sul piano del montaggio e del dinamismo delle scene, che risulta davvero sorprendente.

I suoi personaggi, per quanto sintetizzati in alcuni momenti con poche ma abili pennellate, trasudano vigore e un senso straordinario dell'azione e della realtà, immersi in ambientazioni e sequenze incredibilmente cariche di atmosfera.

Pochi autori hanno saputo rappresentare su carta la vera essenza del genere western, e Gino D'Antonio, a mio modo di vedere, è stato tra i migliori in assoluto. Quello che D'Antonio riuscì a imbastire, gestire e realizzare in quegli anni fu quindi un qualcosa di davvero miracoloso. Di "Storia del West", Sergio Bonelli disse: "Come editore è tra le cose di cui vado più fiero". Più volte ristampata, è diventata a ragione un classico del fumetto italiano. Se non l'avete mai letta e amate i fumetti, fatevi un regalo e recuperatela:

Un altro piccolo "consiglio per gli acquisti" è verso i due volumi scritti e disegnati da D'Antonio per l'indimenticabile collana "Un uomo un'avventura" (pubblicata dalle edizioni Cepim sempre di Sergio Bonelli tra la fine degli anni '70 e i primi anni '80), cioè "L'Uomo dello Zululand" e "L'Uomo di Iwo Jima". D'Antonio scriverà anche altre storie per quella collana, ma i volumi da lui disegnati sono degli autentici capolavori.


Il 1971 vede l'inizio della lunga collaborazione tra D'Antonio e il settimanale "Il Giornalino", di cui si ricorda soprattutto "Il soldato Cascella", da lui scritto e disegnato, e "Uomini senza gloria" (serie ambientata nella Seconda Guerra Mondiale), con i disegni del grande Ferdinando Tacconi. Ma questo non interrompe i suoi rapporti con Bonelli, per cui realizza (oltre che, come detto, alcuni volumi della serie "Un uomo un'avventura") la serie di "Bella e Bronco", un anomalo western narrato con un tono scanzonato e divertente (ma che non raccoglie il favore del pubblico), e "Mac lo straniero", scritto da D'Antonio ancora per i disegni di Tacconi e pubblicato sulla rivista "Orient Express". Negli ultimi anni della sua carriera D'Antonio riduce molto l'attività di disegnatore, che reputava molto impegnativa, e collabora in veste di sceneggiatore alla serie di "Nick Raider" (in cui riesce ad essere particolarmente incisivo) e ad una storia di "Julia".


Gino D'Antonio muore a Milano il 24 dicembre del 2006.


Vengono pubblicate postume le sue ultime fatiche come sceneggiatore: uno speciale di "Tex" a lungo atteso (il 22° texone) e, sempre in collaborazione con l'amico Renzo Calegari, l'albo one-shot intitolato "Bandidos", entrambi editi dalla Sergio Bonelli Editore.


Molti sono i riconoscimenti ricevuti da questo grande autore, e tra cui segnalo: 1973 - Premio alle Tre giornate del fumetto di Genova per la "Storia del West" 1974 - Premio ANAF per la "Storia del West"  1977 - Premio ANAF "Soggettista italiano in attività" 1978 - Premio ANAF "Soggettista italiano in attività" 1980 - Premio "Miglior sceneggiatore" alla Mostra internazionale dei cartoonist di Rapallo 1996 - Premio Yambo per "Un maestro dei comics" al Salone Internazionale dei Comics e del Cinema d'Animazione di Lucca.


Al lavoro e alla figura di Gino D'antonio sono stati dedicati ovviamente diversi volumi e pubblicazioni, ma qui indico almeno le più recenti, come "Storia del West", di Luca Barbieri, Luca Boschi e Graziano Frediani, e l'"Almanacco dell'Avventura 2015", che contiene le due storie realizzate da D'Antonio per "Un uomo un'avventura" e la prima storia a colori di "Storia del West". Ancora due parole su Gino D'Antonio le potete trovare QUI.


Chiudo il post su questo "uomo all'antica", come spesso si definiva ("...io, sui mezzi pubblici, mi alzo sempre per cedere il posto alle signore", ripeteva spesso), con un video che ripercorre tutte le cover realizzate da D'Antonio per la sua serie monumento (accompagnate, in questo caso, dalla musica di Ennio Morricone):

Buone letture e buona visione!












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