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Immagine del redattorePasquale Frisenda

Ken Parker - "Fuori tempo" (1995)

Aggiornamento: 28 mag

Una collaborazione imprevista ma per me determinante con un Maestro del fumetto

Il maggiore impegno professionale a cui mi dedicai nei primi anni di lavoro nel mondo del fumetto - la gavetta, come di regola viene definita -, fu abbastanza anomalo, perché riguardò "Ken Parker", una delle serie a fumetti più originali e complesse prodotte in Italia.

Come scuola per apprendere le basi del mestiere non potevo sperare di meglio, ma l'esperienza era per me anche preoccupante perché la sentivo oltre le mie possibilità.


Le tavole qui presenti sono tratte dall'episodio intitolato "Fuori tempo", uscito nel 1995 nei n. 28 e 29 del "Ken Parker magazine", ovvero la seconda serie dedicata all'antieroe di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, pubblicata all'inizio dalla Parker Editore e poi edita dalla Sergio Bonelli Editore.

La storia fu realizzata principalmente da Giorgio Trevisan, uno degli storici disegnatori di KP, ma per una parte dell'albo le matite delle tavole furono disegnate da me e rifinite poi a china sempre da Trevisan.

Quella collaborazione, anche se a distanza, fu un'esperienza davvero importante per la mia crescita professionale, che, aggiunta ai tanti e determinanti insegnamenti ricevuti da Milazzo (con cui invece collaborai a stretto contatto per alcuni anni nel suo studio a Chiavari), contribuì ad ampliare la mia visione sul come dare un valore narrativo all'inchiostrazione.

La partecipazione alla storia mi fu chiesta da Berardi per poter, in quel momento, velocizzare almeno in parte il lavoro di Trevisan e permettere all'albo di essere pronto nei tempi previsti, ma collaborare con un disegnatore di quel calibro, senza aver mai avuto modo di conoscerlo di persona, a me un po' di disagio lo creava (avevo 25 anni e ancora molto da imparare).

Giorgio Trevisan, giusto per capirci, è uno dei tanti autori che sono usciti dal celebre studio Dami di Rinaldo "Roy" Dami, e si parla quindi di gente tipo Hugo Pratt, Gino D'Antonio, Renzo Calegari, Ferdinando Tacconi o Aldo Di Gennaro.

Le cose invece andarono bene, anche se le mie prime matite furono ritenute da Trevisan "un po' troppo moderne" per il suo sentire (una via di mezzo tra un apprezzamento e una critica, di cui feci comunque tesoro per le tavole successive).


Come detto, quella fu per me un'ulteriore lezione di come l'inchiostrazione nel fumetto può e deve essere un discorso narrativo e non solo tecnico (cioè un mero ripasso o un esercizio di stile che rischia di diventare sterile maniera. Cose che già Milazzo sottolineava spesso).

In tutte le occasioni dove mi fu possibile vedere il risultato in corso d'opera del lavoro fatto da Trevisan sulle mie tavole a matita rimasi sempre colpito da come riusciva con la china a valorizzare paesaggi o dettagli, della sintesi grafica che esprimeva, della profondità che dava alle immagini (anche aggiungendo elementi che non avevo previsto), oppure di come, con pochi segni, trasmetteva la sensazione della materia dei vari oggetti rappresentati, ma, soprattutto, fu il lavoro che fece sui volti dei personaggi a lasciarmi basito: in mano sua quelle facce bidimensionali acquistavano vita, emozioni e un'intensità difficilmente per me immaginabile e che di sicuro non avrei mai saputo dargli in quegli anni.


Una prova, quindi, che aggiunse un ulteriore tassello alla mia comprensione di cosa significa raccontare per immagini, e tutte quelle tavole sono poi per me diventate materia di studio per gli impegni successivi.



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