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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Lame rotanti e alabarde spaziali: arriva "Atlas Ufo Robot"

Aggiornamento: 9 set 2023

Personaggi e serie del tutto inaspettate travolsero l'immaginario dei bambini (ma non solo) di allora.

Gli anni '70 in Italia iniziano con un tentativo di colpo di Stato e proseguono con enormi problemi, legati all'economia, alla criminalità emergente, a frange politiche estremiste che sfogano la violenza nelle strade e a un'ondata di terrorismo con finalità reazionarie che compie attentati, sequestri e stragi.

La televisione riversa quotidianamente queste realtà sul pubblico, attraverso programmi di approfondimento, tribune politiche e telegiornali, determinando un netto cambiamento nelle abitudini della popolazione, che tende a chiudersi in se stessa. Ma, almeno nel mondo dei più piccoli, tutto cambia il 4 aprile del 1978: sulla Rete 2 (oggi Rai 2), nel programma contenitore "Buonasera con...", viene trasmessa la prima puntata di una nuova e anomala serie di cartoni animati: "Atlas Ufo Robot".

L'immaginario dei bambini (ma non solo) ne viene letteralmente travolto: non si era mai visto nulla di simile, non certo un prodotto con quelle caratteristiche e destinato a quel pubblico specifico, abituato come era a personaggi decisamente molto diversi e più canonici, tipo quelli della Hanna & Barbera ("Yoghi", "Scooby-Doo", "Gli Antenati") o della Disney, mentre, fin dalla prima puntata, Goldrake (questo è il nome del metallico protagonista del nuovo cartoon) si rivela da subito come qualcosa di diverso, di non prevedibile, di "adulto" (anche se inevitabilmente pieno di semplificazioni e ingenuità), e questo, forse, soprattutto per l'insolita figura (in un cartone animato, almeno) che guida il possente robot: Actarus, un eroe saggio ed equilibrato, certo, ma anche tormentato, capace di soffrire e commuoversi.


Un'esplosione di azione, musiche e suoni ma in bianco e nero, perché in molti, me compreso, in quegli anni lo videro in quel modo a causa del fatto che in Italia ben pochi avevano la televisione a colori in casa - ché iniziò ad essere prodotta solo l'anno prima -, quindi, per moltissimi ragazzi di allora, l'approccio con quei personaggi fu caratterizzato dall'assenza di una parte peculiare del loro fascino, ovvero gli accesissimi colori dell'anime (termine oggi normalmente usato per chiamare i cartoni animati giapponesi ma che in quel periodo era assolutamente sconosciuto); nonostante questo, furono comunque ben visibili tutte le incredibili azioni, ascoltati gli ordini "tecnologici" urlati con grande enfasi e i nomi improbabili delle tante armi, che diventarono in brevissimo tempo così familiari da entrare nell'immaginario e nel lessico comune dell'intero Paese. "Atlas Ufo Robot" fu acquistato dalla Rai quasi per caso e solo perché Nicoletta Artom, allora curatrice di diversi programmi per ragazzi della tv nazionale, lo notò tra altre proposte in una mostra mercato di prodotti televisivi in Francia nel 1976 (in Giappone la serie era ancora in corso), segnalandolo al suo collega Sergio Trinchero: "Sergio, ho visto dei cartoni animati giapponesi incredibili. Una cosa nuovissima. È un mondo di robot pilotati da esseri umani", ed entrambi si interessarono al personaggio. Il cartoon era stato ampiamente rimaneggiato dal canale francese Antenne 2, che lo aveva occidentalizzato il più possibile arrivando a cambiare anche i nomi dei personaggi (utilizzando riferimenti a stelle o pianeti, tipo Actarus, appunto, o Rigel, Venusia, Mizar, e via dicendo...); ma ancora non sembrava sufficiente per i responsabili delle trasmissioni di quella emittente, che, preoccupati dall'insolito prodotto, alla fine decisero addirittura di vedere prima che effetto fa il cartone animato in Italia e poi prendere la decisione se mandarlo in onda o meno.

La serie in Francia alla fine ci arriverà nell'estate del '78, perché in Italia "Atlas Ufo Robot" ottiene un successo incredibile (anche grazie ad un doppiaggio indovinato, cosa che mancò nella versione francese). Di un'istantanea "Goldrake mania" si può parlare: milioni di persone di differenti età (non solo i bambini, quindi) si ritrovano davanti alla televisione per seguire le avventure del nuovo eroe, che spopola ovunque e su ogni supporto immaginabile. Tanto per dire, il 45 giri che contiene le due sigle del cartone, "Ufo Robot" e "Shooting star", riesce a vendere un milione di copie (anche se gli autori, Luigi Albertelli, Vince Tempera e Ares Tavolazzi, le scrissero improvvisandole, senza sapere quasi nulla della storia e potendo vedere solo dei video, per di più in originale. Nella sigla per la seconda serie di Goldrake, i riferimenti saranno invece molto più precisi), vincendo il disco d'oro di quell'anno. Curiosamente, anche l'evocativo titolo con cui poi la serie viene presentata in Italia, "Atlas Ufo Robot", è frutto di un caso (o forse di un errore. Sulla questione girano diverse opinioni), perché quella era la dicitura del fascicolo che conteneva la guida al cartoon che i dirigenti francesi mandarono in Rai (Atlas/Guida), e che invece rimase anche come titolo del programma (in tempi recenti, i produttori hanno affermato che l'inclusione di "Atlas" nel titolo fu non un fraintendimento ma una scelta deliberata dovuta al seppur casuale riferimento ad Atlante - Atlas in greco antico -, il mitologico gigante che sostiene il mondo sulle sue spalle, in un parallelismo con Goldrake che invece sostiene le sorti dell'umanità intera).

Per quanto riguarda Goldrake, il nome italiano del personaggio, si pensa che sia derivato da uno strano mix tra Goldfinger e Mandrake oppure dall'abbinamento delle parole inglesi Gold Drake (drago d’oro), forse suggerito dal fatto che si trattava di una produzione orientale, tuttavia la versione più verosimile è che sia stata più semplicemente l'italianizzazione di Goldorak, nome dato dai francesi al robot.


Il riscontro avuto dalla trasmissione fa rivolgere di nuovo lo sguardo della Rai verso il Giappone alla ricerca di altri titoli da proporre: ne troveranno a bizzeffe, ma questo significherà un brutto segnale per le produzioni televisive a cartoni animati di casa nostra, anche per quelle che si erano affermate tra il pubblico, come "Gulp!" e "SuperGulp!", che non trovando più investimenti scompariranno da lì a poco (e questo per la miopia e la poca lungimiranza dei dirigenti televisivi).

Ma il successo di Goldrake non passa senza conseguenze; le scene di battaglia che contiene mettono in allarme i genitori, alcuni eccentrici benpensanti o intellettuali un po' affaticati (Alberto Bevilacqua scrisse: "Killer più che robot. Il pugno rotante equivale al pugno di ferro; l’alabarda spaziale alla baionetta; il maglio perforante al manganello. Goldrake è lo stadio che può precedere la droga vera e propria"), e anche qualche politico, evidentemente più preoccupato degli eventuali danni che può provocare quel cartone animato nella testa dei più giovani oltre che nella società italiana, piuttosto che di tutto quello che accade per le strade e si sente in tv in quegli anni (e anche dopo, ahinoi), come detto all'inizio. Ad un certo punto si parla anche di una convocazione parlamentare ma che si sgonfia subito (guai maggiori, in tal senso, li hanno avuti fumetti come "Diabolik", "Kriminal" o "Dylan Dog"), come anche di un comitato di genitori di Imola che presenta un reclamo ai dirigenti Rai e al Ministro dell'istruzione. Fortunatamente non tutti reagirono in quel modo, e in difesa del cartone animato si espresse Gianni Rodari, ad esempio, che di racconti per bambini qualcosa sapeva, e in un articolo intitolato "Dalla parte di Goldrake" prese posizione sulla fascinazione che l'eroe robotico esercitava sui più piccoli, paragonandolo ad un personaggio mitologico, come anche Alberto Manzi, pedagogista noto principalmente per aver condotto negli anni '60 la trasmissione "Non è mai troppo tardi", che evidenziò parallelismi tra la violenza e i drammi delle storie di Goldrake e quelli presenti delle favole più note, che nelle versioni originali erano anche più cruente. La Rai, comunque, e anche a causa di quelle polemiche, dopo Goldrake e Mazinga Z rinuncerà alla programmazione di nuovi cartoni animati giapponesi, il tutto a favore di molte televisioni private che in quegli anni si stanno affermando.

Immaginato nel 1975 da Go Nagai, "Goldrake" è in realtà la terza serie robotica dell'autore giapponese e comunemente viene intesa come quella che chiude in qualche modo, pur se in maniera temporanea, il "ciclo dei Mazinga" (anche se la cosa non è del tutto corretta, e "Goldrake" fu collegato alle precedenti produzioni di Nagai in maniera un po' forzata). Dotato di una incontenibile fantasia, Kiyhioshi "Go" Nagai (nato a Wajima, in Giappone, il 6 settembre 1945. Un mese prima, su due città di quel Paese vennero sganciate le due bombe atomiche che posero fine alla disastrosa Seconda Guerra Mondiale. Nessun autore giapponese nato dopo quell'evento mancherà di ricordare nelle sue opere quelle tragedie, in un modo o nell'altro, Nagai compreso) ha saputo creare universi immaginari dove ogni ragazzino di allora è riuscito ad immergersi, a sognare e a spaventarsi nello stesso momento, ma anche riconoscendo sempre il filo conduttore di giusti sentimenti in lotta contro il male. Malgrado la violenza esibita (superiore di certo alla media mostrata nei cartoon americani di allora, anche perché in ogni episodio di "Atlas Ufo Robot" molti nemici rimangono uccisi) non è sbagliato affermare che i personaggi di Nagai hanno sempre veicolato valori come l'amicizia, l'onore e il senso profondo del dovere.

Facendo tesoro della lezione di autori a lui precedenti, Nagai è da tempo considerato il principe dei manga (i fumetti giapponesi), titolo motivato dai tanti personaggi da lui ideati: Mazinga Z, Il grande Mazinga, Jeeg, Goldrake, Getter Robot, Gaiking o Devilman (quest'ultimo in particolare, del 1972, subito apprezzato dai giovani lettori e spettatori nipponici, è, per le inedite sottigliezze psicologiche, da molti ritenuto il suo capolavoro), e quelli che in Italia hanno vissuto in diretta l'arrivo degli anime dalla fine degli anni '70, sanno cosa rappresentano. Nagai si è poi imposto anche con altre serie e personaggi, di genere dichiaratamente comico ma dove sono presenti spesso elementi erotici neanche troppo velati.

"Se dalla mia macchina potessero uscire gambe e braccia per scavalcare questa coda infinita... come mi piacerebbe!"

Proprio da questo semplice spunto, che pare sia venuto in mente a Nagai un giorno in cui si trovò imbottigliato nel traffico di Tokio, nacque il primo dei suoi giganteschi eroi meccanici: "Mazinga Z" ("Majingā Z"). Prima o parallelamente a lui, altri autori avevano immaginato personaggi simili, sia in telefilm di genere tokusatsu (dei live action a basso costo ma che fanno uso di effetti speciali) che, soprattutto, in anime spesso tratti da manga e che puntavano ancora tutto o quasi sull'avventura, spesso spensierata, e dove i protagonisti sono sempre e comunque dei bambini, basti pensare all'"Astro Boy" ("Tetsuwan Atomu", 1963) del grande Osamu Tezuka, a "Super Robot 28" ("Tetsujin 28 Go", 1963) e ad altre opere di Mitsuteru Yokoyama, oppure ad "Astroganga" ("Asutoroganga", 1972) di Tetsuhisa Suzukawa (nella primissima versione, intitolata Astroman, il pilota entrava nella testa del robot con una capsula, proprio come accade in Mazinga Z, ma l'idea venne poi accantonata). Mazinga Z sembra avere però una marcia diversa: "Come essere umano mi rendo conto di quanto sia difficile districarsi tra il bene e il male. Non sono due entità nettamente divise, e a volte una cosa può nascere dall'altra", disse Nagai in un'intervista, e il nome originale del personaggio lo trasse dal termine Majin, una parola giapponese composta da due caratteri: Ma/Demone e Jin/Dio, quindi Majin significa "demone o dio" oppure "demone e dio"; il potente robot può infatti far diventare chi lo pilota sia portatore di male che di bene a seconda dell'uso che decide di farne (non a caso nel manga il colore predominante con cui viene ritratto Mazinga Z è il nero, cosa inconsueta per quel genere di prodotti). Un'ambiguità su cui l'autore punta molto e praticamente dall'esordio di Mazinga Z, avvenuto in Giappone nel 1972 sulle pagine della rivista "Weekly Shonen Jump" e poco dopo adattato in un anime su Fuji TV, diventa un successo straordinario nonostante i mille problemi che attanagliarono la produzione televisiva, tra cui uno sciopero degli animatori, consacrando Koji Kabuto come uno dei personaggi più amati di sempre in quel Paese (il giovanissimo pilota del robot - in Italia conosciuto anche come Ryo Kabuto -, è un ragazzo orfano e ribelle che però ha a carico il fratello più piccolo, Shiro, e che dovrà fare i conti con la pesante eredità in fatto di impegno e responsabilità che suo nonno, uno dei più grandi scienziati del Giappone, gli ha lasciato). Dopo l'episodio finale di "Mazinga Z", segue, praticamente senza interruzione, "Il grande Mazinga" ("Gureto Majinga", 1974), una nuova serie televisiva (che in questo caso esordisce poco prima del manga) in cui gli autori coinvolti nel progetto sviluppano il mondo della precedente e molte delle tematiche care a Nagai (da sempre attento al mondo giovanile - l'autore, allora, non ha ancora compiuto 30 anni - come molte storie di questa serie poi testimonieranno).

Pur se apprezzato, il nuovo robot (come il suo problematico pilota, Tetsuya Tsurugi, più tormentato e cupo di Koji Kabuto) non ottiene però il successo sperato e la Toei Animation, la casa di produzione del cartoon, fa pressioni sull'autore per sostituirlo con qualcos'altro. Abbandonato il progetto della terza serie sui Mazinga ("God Mazinger", che verrà realizzata solo nel 1984), nel 1975 Nagai riprende in mano una sua idea sviluppata per un mediometraggio diretto da Yūgo Serikawa e che ha da poco esordito al cinema con successo, una storia di dischi volanti mischiata abilmente con elementi presi di peso dalla vicenda di "Giulietta e Romeo".

"Uchū enban daisensō" ("La grande battaglia dei dischi spaziali") è il titolo del film che è alla base per lo sviluppo della serie televisiva di Goldrake e dalla sua trama vennero poi tratti gli ultimi episodi della stessa.

La caratterizzazione dei personaggi è però molto diversa: il robot gigante (chiamato Gattaiger e disegnato da Tadanao Tsuji, un disegnatore meno fantasioso e più "tecnico" rispetto a Nagai) compare brevemente alla fine della storia mostrando un mecha design molto lontano da quello elaborato poi per la nuova serie, e anche il pilota protagonista del racconto è differente nell'aspetto e nei colori della livrea rispetto alla divisa da combattimento indossata poi da Actarus in "Atlas Ufo Robot", come diversi sono in buona parte anche i nemici, mentre era già presente la curiosa atmosfera country che si vedrà poi in Goldrake.

Il passaggio dal mediometraggio all'anime televisivo avvenne anche per insistenza della Popy, ramo della Bandai, noto marchio giapponese di giocattoli e videogiochi, che chiese agli autori della serie di disegnare al robot dei piedi più larghi rispetto a quelli dei due Mazinga, in modo da facilitare il mantenimento della posizione eretta dei futuri modellini: un aspetto, questo, che peserà sempre più nell'ideazione e lo sviluppo di nuove serie animate. La Toei Animation è interessata a produrre la serie, ma il tempo che concede è limitatissimo: due mesi.

Lo staff di autori si mette quindi al lavoro cercando di reggere un ritmo di produzione forsennato, e la serie animata comincia a prendere forma. Alla regia ci sono Masayuki Akehi, Tomoharu Katsumata e Masamune Ochiai, mentre le sceneggiature vengono affidate a Shozo Uehara, Keisuke Fujikawa e Tohojiro Andou. Non mancheranno dubbi, ripensamenti e imprecisioni (persino l'uscita del robot dal disco volante che lo contiene è messa in dubbio fino alla fine, e nella sigla è presente un'evidente contraddizione rispetto a quello che poi si vedrà regolarmente nella serie), come anche tensioni fra Go Nagai e la Toei che si rifletteranno inevitabilmente sul risultato finale, anche se i livelli di animazione e quelli narrativi restano sempre su standard accettabili. Il maggior contrasto arriva però per l'opposizione netta che l'autore mostra verso l'utilizzo in questo nuovo progetto del personaggio di Koji Kabuto, che qui dovrebbe avere un ruolo di secondo piano per permettere ad Actarus (Daisuke, in originale) e alla sua storia (è un sopravvissuto di un pianeta lontano - dove era un principe di nome Duke Fleed - sopraffatto dalle forze dell'Impero del malvagio re Vega) di avere il maggior spazio possibile. La produzione però insiste e alla fine la spunta, inserendo il pilota di Mazinga Z fin dalla prima puntata (anzi, è proprio il primo personaggio che appare). Ma la presenza di Koji in "Atlas Ufo Robot", anche se solo come spalla dell'eroe, permette comunque alla Toei di creare una continuità con le prime due serie di Nagai, e l'aspetto e i colori del robot, opera di Kazuo Komatsubara, ora ricordano i Mazinga (alla definizione della testa del robot, con la cabina di pilotaggio posizionata tra naso e bocca, diede un contributo anche il fratello di Nagai, Takashi, mentre Komatsubara verrà poi sostituito dal celebre Shingo Araki a partire dall'episodio 49, che apre di fatto una seconda serie dedicata a Goldrake dove la produzione cercò una maggiore presa sul pubblico evidenziando i dettagli futuribili delle vicende anche nell'abbigliamento dei personaggi, con Actarus che cambia il suo look da quello di un improbabile cowboy a uno più moderno). A quanto sembra, Nagai concesse a Komatsubara ampia libertà per caratterizzare Actarus, chiedendogli solo di lasciare la linea degli occhi molto marcata, come la aveva fatta lui per enfatizzare la natura aliena del personaggio (dettaglio presente anche sul volto del protagonista di "Devilman").

A differenza delle prime due serie dei Mazinga, però la Toei punta anche a conquistare il pubblico femminile (riuscendoci), e da qui la scelta del carattere di Actarus, molto più romantico e sensibile di Koji e Tetsuya. L'inserimento forzato di Koji (ribattezzato Alcor sia in Francia che in Italia) comunque si nota e gli spettatori nipponici non gradiscono molto la cosa, ma la trasmissione, pur se non raggiunge mai il seguito avuto da "Mazinga Z", regge fino alla fine. Parallelamente all'anime, viene pubblicato anche il manga edito dalla Kōdansha, scritto da Nagai e disegnato da Gosaku Ota.


Altre serie pensate da Nagai vengono sviluppate dalla Toei, come "Getter Robot", del 1974 (conosciuta in Italia anche come "Space robot"), il capostipite dei robot trasformabili con tre piloti che guidano altrettanti veicoli volanti in grado di combinarsi in versioni differenti - e con differenti capacità - di un unico robot gigante (il suo nome ricorda gattai, la parola giapponese che indica la combinazione). La serie riscuote molto consenso, tale da generare numerosi seguiti ("Getter Robot G", "Getter Robot Go", "Shin Getter Robot"), remake ("Getter Robot - The Last Day", "Neo Getter Robot", "Getter Robot re:model" etc... etc...), e fornisce lo spunto per molte altre serie su robot componibili:

Nel 1975, insieme a Goldrake fa il suo esordio anche un altro noto personaggio di Nagai, "Jeeg robot, uomo d'acciaio" ("Kōtetsu Jīgu". La serie animata esce parallelamente ad un manga disegnato da Tatsuya Yasuda): il protagonista della nuova serie è Hiroshi Shiba, un giovane e aitante pilota di macchine da corsa, dal carattere impulsivo e un po' superficiale e che veste con abiti che ricordano i costumi di Elvis Presley, ma che dopo l'assassinio di suo padre, un noto scienziato, scoprirà di essere molto diverso da quello che crede e il drammatico destino che lo aspetta, impegnandosi a fondo in quello che per lui sarà un duro ma inevitabile percorso di formazione sempre seguito dalla figura paterna, ora presente nella memoria di un sofisticato computer. Jeeg arriva in Italia nel 1979 riscuotendo un notevole successo, persino paragonabile a quello ottenuto da Goldrake. Serie ideata fondamentalmente con criteri commerciali, in maniera da collegarlo anche in questo caso alla vendita di nuovi giocattoli assemblabili con magneti entrati in produzione in quegli anni (conosciuti in Italia con il nome di "I Micronauti"), la trama di Jeeg è stata però pensata con un'attenzione non comune alla protostoria dell'antico Giappone, e questo considerando anche gli standard degli anime che generalmente contengono molte tracce della cultura nazionale del Sol Levante. Quel tipo di narrazione, fusa come non mai con aspetti magici ed esoterici più che tecnologici o scientifici (la stessa natura di Hiroshi è inspiegabile se non attraverso la magia), fa la fortuna del cartoon, rendendolo particolare e affascinante:

Nel 1976 i rapporti tra Nagai e la Toei si incrinano nettamente a causa di un ulteriore progetto messo in cantiere dall'inarrestabile autore ma che si è visto "scippare" senza troppi convenevoli dai dirigenti della casa di produzione; la nuova serie vedrà poi la luce con il titolo di "Gaiking, il robot guerriero" ("Daikū Maryū Gaiking") e senza che il nome di Go Nagai compaia mai da nessuna parte. Questo distacco durerà più di dieci anni.


Ma i bambini italiani di allora di tutto questo non sanno nulla e si godono i nuovi cartoon per quello che sono per loro: uno spettacolo per gli occhi e una novità assoluta, che li fa entrare in contatto con la fantascienza (serie come "UFO", "Spazio 1999" o "Star Trek" spopolano già in tv, ma fra ragazzi un po' più grandi). Anche se alcune serie animate prodotte in Giappone erano arrivate in Italia prima di Goldrake (come "Barbapapà", "Vicki il vichingo" o "Heidi", ma solo quest'ultima si può definire davvero un anime, perché rappresenta bene uno stile grafico proprio di quel Paese, mentre le altre citate erano mutuate dalla grafica del materiale originario europeo), quella dell'eroe naganiano è la prima di genere mecha e fa da definitivo apripista ad una vera e propria invasione di personaggi di quel tipo o, più in generale, dell'animazione giapponese. Oltre i titoli già citati, fanno poi la loro comparsa (in ordine sparso): "Ginguiser", "Gakeen", "Daikengo", "Daltanious", "Baldios", "Zambot 3", "Trider G7", "Daitarn 3", "God Sigma", "Gordian", "Voltron", "Gotriniton", "Vultus 5", "UFO Diapolon", "Astro robot"; decine e decine di giganteschi robot, di ogni forma e colore, lottano sullo schermo per accaparrarsi le simpatie del pubblico. Ma se le forme e le varianti cromatiche sono quasi infinite, le dinamiche narrative invece non si scostano mai troppo da quelle impostate da Nagai; bene o male resta un solo robot protagonista pilotato da un solo uomo o quasi; un laboratorio e/o stazione spaziale dove il robot è stato creato ed è custodito; una terribile minaccia (aliena o di altra natura) che vuole conquistare il pianeta ma che sembra interessarsi invece quasi solo al Giappone e poco o nulla al resto del mondo (che ricambia partecipando ben poco ai conflitti), e via dicendo...

Almeno fino all'arrivo di un nuovo titolo che interrompe drasticamente tutto questo: "Gundam" ("Kidō Senshi Gandamu", del 1979) di Yoshiyuki Tomino. Prendendo spunto dal romanzo "Fanteria dello spazio" ("Starship troopers", 1959) di Robert Heinlein, un classico della fantascienza americana, gli autori del cartoon raccontano di una guerra del futuro in un modo piuttosto credibile, dove i robot sono prodotti industriali e dunque realizzati in serie, i "cattivi" non sembrano avere tutti i torti (o i "buoni" non tutte le ragioni), e i personaggi protagonisti possono anche morire in azione. Dopo "Gundam", la visione stessa delle serie dei cosiddetti robottoni cambia totalmente e il pubblico cerca (e trova) maggiore plausibilità dalle storie narrate. I robot di Go Nagai, intrisi più di fantasia che di tecnologia, come detto, e rinchiusi in un microcosmo narrativo che, in qualche modo, risultava anche tranquillizzante, sembrano cedere il passo, ma questo solo in apparenza: negli ultimi anni Nagai è tornato ad occuparsi di molti dei suoi personaggi robotici, collaborando alla produzione di nuove serie o miniserie praticamente su ognuno di loro, che spesso sono ampliamenti (o veri e propri remake) delle storie già raccontate, aggiornate al gusto, allo stile grafico e ai ritmi di oggi. Non sempre il risultato è convincente, ma in almeno due casi, "Mazinkaiser" (2001) e "Kotetsushin Jeeg" (del 2007, che è un vero sequel della serie originale, pur se contiene con non poche libertà narrative), mi sento di dire che la scommessa l'ha pienamente vinta.

Mazinkaiser fa la sua prima apparizione in questo video celebrativo sui tanti personaggi immaginati da Go Nagai, ma nella serie vera e propria il suo aspetto verrà leggermente modificato:

Alla febbre di remake, reboot, sequel e prequel, sembrava essere sfuggito solo Goldrake, ma è invece appena stata annunciata una nuova miniserie televisiva proprio a lui dedicata e in uscita nel 2024: "Grendizer U", con la regia di Mitsuo Fukuda ("Gundam Seed", "L’invincibile Dendoh"), la sceneggiatura di Ichiro Okouchi ("Mobile Suit Gundam: The Witch from Mercury"), il character design curato da Yoshiyuki Sadamoto ("Neon Genesis Evangelion") e Go Nagai nelle vesti di direttore esecutivo. Il teaser trailer mostra poco, ma si può intravedere il nuovo Actarus e l'aspetto del nuovo robot, oltre una chicca nascosta nei vari fotogrammi: nella serie farà il suo ritorno anche Mazinga Z, pilotato sempre da Koji Kabuto:

Ma i robottoni non sono certo gli unici protagonisti dei cartoon giapponesi che affollano in quegli anni le tv italiane, e anzi esiste ogni possibile variante e tutti i gusti sembrano poter essere accontentati: l'avventura ("Ryu, il ragazzo delle caverne", "King Arthur", "Kimba, il leone bianco", "L'invincibile ninja Kamui", "Sam, il ragazzo del West"), lo sport ("Mimì e la nazionale di pallavolo", "Arrivano i superboys", "Sampei", "Jenny la tennista", "Ken Falco", "Grand prix" "Rocky Joe", "L'Uomo tigre", "Judo boy"), serie venate di malinconie e romanticismo ("Candy Candy", "Georgie", "Charlotte"), classici della letteratura o di ambientazione storica ("Peline story", "Pinocchio", "Cuore", "Anna dai capelli rossi", "Remì", "Lady Oscar", "Il Tulipano nero"), comici ("Chobin", "L'Ape Maia", "L'ape Magà", "Hello Spank", "Lamù"), horror o di situazioni legate a discorsi magici/esoterici ("Bem, il mostro umano", "Fantaman", "Babil junior"). Arrivano poi gli eroi dello spazio o tecnologici ("Blue Noah", "Capitan Futuro", "Cyborg 009"), in particolar modo quelli della casa di produzione Tatsunoko ("Kyashan", "Gatchaman", "Hurricane Polimar", "Tekkaman", e questo solo per citarne i titoli più celebri) o personaggi come "Ken il guerriero", che raccoglie forse uno degli ultimi, grandi successi di pubblico.

Nel video che segue potete trovare una carrellata di sigle originali dedicata proprio ai robottoni degli anni '60 e '70:

A tutti questi si aggiungono poi molti telefilm (tipo "Megaloman", "Koseidon" o "Ultraman", debitori sia verso questo tipo di prodotti che di film come "Godzilla"), o serie che abbinano il live-action con l'animazione ("Tansor 5", "I-Zenborg").


Oltre ai personaggi cominciano a emergere e ad essere conosciuti anche i nomi degli autori, e qui vorrei segnalare almeno quello di Leiji Matsumoto, il disegnatore che ha dato corpo e anima sia a "Capitan Harlock" che al mondo in cui è immerso. Matsumoto firmerà poi anche "Galaxy Express 999", "Starblazer", "Starzinger", ma anche "Danguard", il suo unico robot gigante (che anche se è stato realizzato su commissione per conto della Toei Animation, e questo subito dopo l'uscita di scena di Nagai, è comunque degno di nota per la non scontata e plausibile narrazione sulla faticosa preparazione a cui si deve sottoporre il giovane protagonista, oltre che per la tardiva apparizione del robot che dà il titolo alla serie). Ovviamente non si può poi non nominare Hayao Miyazaki, che, dopo Osamu Tezuka (considerato una sorta di Walt Disney giapponese), è stato l'animatore più influente e importante in Giappone, e che con il suo Studio Ghibli ha prodotto e/o collaborato ad un'infinità di titoli, sia per la televisione (la già citata "Heidi" e poi "Sherlock Holmes", "Conan, il ragazzo del futuro", "Lupin III") che per il grande schermo (innumerevoli i film da lui diretti che hanno segnato la storia dell'animazione, non solo giapponese ma mondiale, e qui segnalo almeno "Nausicaa della valle del vento", "Laputa, il castello nel cielo", "Il mio vicino Totoro", "La città incantata").

Tra gli ultimi clamorosi successi televisivi e cinematografici nel genere mecha c'é di sicuro "Neon Genesis Evangelion" ("Shin seiki Evangerion", letteralmente "Il Vangelo del nuovo secolo"), titolo creato dallo Studio Gainax, sceneggiato e diretto da Hideaki Anno. Questa è una particolare e complessa serie che unisce trame altamente spettacolari a momenti incredibilmente intimisti, che raccoglie il favore di un largo pubblico in tutto il mondo.


Insomma, è praticamente impossibile citarli tutti, perché la produzione è stata davvero vasta, articolata ed è in continua espansione. In ogni caso, il fenomeno dei robot giganti a poco a poco si affievolisce, almeno qui in Italia, mentre in Giappone non ha mai conosciuto una vera e propria sosta:

Ma il solco tracciato da Goldrake nell'immaginario degli spettatori italiani è rimasto piuttosto profondo (come si può vedere QUI), e il personaggio ha trovato un grande spazio anche nel web, dove, oltre ai tanti siti dedicati a lui o al suo autore, si possono ammirare anche moltissimi video realizzati per semplice e pura passione dai fan (spesso italiani), in animazione tradizionale o in cgi (ne trovate alcuni esempi QUI, QUI, QUI e QUI). Da molti anni, poi, la produzione di anime viene proposta anche in decine di negozi specializzati, per il piacere di nostalgici o nuovi appassionati.


Buona visione!




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