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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (5): "Alien" di Ridley Scott (1979)

Aggiornamento: 30 mag 2023

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario).

"Alien" di Ridley Scott (USA/UK - 1979)


Sceneggiatura: Dan O'Bannon e Ronald Shusett (e, non accreditati, Walter Hill e David Giler)


Con: Sigourney Weaver, Tom Skerritt, John Hurt, Ian Holm, Veronica Cartwright, Yaphet Kotto, Harry Dean Stanton ed Helen Horton (voce del computer di bordo).


"Nello spazio nessuno può sentirti urlare." (tagline del film)


"L'astronave da trasporto Nostromo è in viaggio verso la Terra dal pianeta Thedus con il suo carico di carburante minerale mentre l'intero equipaggio è in stato di ibernazione. Si tratta di cinque uomini - il capitano Dallas, il vice Kane, l'ufficiale scientifico Ash, il capo-tecnico Parker, il suo collega Brett - e due donne - l'ufficiale Ripley e la navigatrice Lambert. Mother, il computer di bordo, dopo aver ricevuto un segnale di soccorso proveniente dal satellite di un remoto pianeta, risveglia gli astronauti, che, anche se riluttanti, sono obbligati ad adempiere alle procedure di indagine. Con una navicella atterrano quindi sull'accidentata superficie del satellite e alcuni di loro escono in perlustrazione per scoprire l'origine del segnale. Da lì a poco si imbattono nell'enorme relitto di un'astronave aliena. La squadra la esplora, rinvenendo il corpo fossilizzato di un essere extraterrestre morto in circostanze misteriose e, in una cavità poco distante, una moltitudine di strane uova di grosse dimensioni che contengono inequivocabilmente materia organica ancora viva. E' l'inizio di un terribile incubo, che porterà il piccolo gruppo ad affrontare un inquietante nemico..."


Uscì nel 1979 e diventò da subito un classico nel suo genere. Ancora oggi il film di Ridley Scott risulta essere la migliore commistione di fantascienza e horror vista sullo schermo, e questo nonostante alcuni capolavori come "L'invasione degli Ultracorpi" ("Invasion of body snatchers" - 1956) di Don Siegel - con i vari ed efficaci remake realizzati poi da diversi registi - e "La Cosa" ("The Thing" - 1982) di John Carpenter, remake de "La Cosa da un altro mondo" ("The Thing from another world" - 1951) diretto da Christian Nyby e, non accreditato, Howard Hawks.

Il regista riuscì in quel caso a presentare un vero universo intorno alla sua temibile creatura spaziale, talmente ricco di suggestioni e spunti narrativi che il film ha avuto ben tre sequel (un altro è in arrivo, diretto da Federico "Fede" Álvarez) e due prequel (oltre che generare un corposo franchise, composto da fumetti, videogiochi e merchandising vario).


Nel 1986 esce infatti "Aliens - Scontro finale" ("Aliens") di James Cameron, film che espande la storia del primo episodio ma ne cambia completamente registro stilistico, e dove il film di Scott era tutto atmosfera e suspence, questo si rivela invece essere un film d'azione e di guerra, chiaramente ispirato al romanzo "Fanteria dello spazio" (1959) di Robert Heinlein, un vero pilastro della narrativa di fantascienza. Il cambio di passo a livello di ritmo annulla l'effetto di continua tensione e inquietudine che il primo film suscitava, banalizzando un po' l'insieme e rendendo il tutto un action muscolare; persino la terribile presenza del mostro, che in "Alien" si vedeva pochissimo, qui viene invece esasperata aumentandone il numero ma facendogli perdere quell'aura di orrore assoluto, indecifrabile e inarrestabile (anche la minaccia del sangue acido si smorza), e gli alieni vengono facilmente falciati dalle armi dei militari. Il personaggio di Ripley - che acquista il nome di Ellen - si trasforma in una sorta di John Rambo al femminile (Cameron aveva collaborato alla sceneggiatura di "Rambo II: la vendetta", uscito l'anno precedente), e la si vede affrontare il suo maggior incubo a colpi di mitragliatore. Nonostante questo, è fuori discussione che sia comunque un film efficace e che è da questa pellicola che nasce davvero il franchise, con un'impostazione portata poi avanti nei titoli successivi, mentre le intenzioni - e l'inedita personalità - del film del '79 si smarriscono per strada:

Nel 1992 arriva "Alien 3", diretto dall'allora esordiente David Fincher: un film decisamente discutibile nei risultati pur se non mancano motivi di interesse. Passato tra le mani di alcuni sceneggiatori, tra cui David Twohy, Eric Red e nientemeno che William Gibson, che però abbandonano il progetto per motivi diversi, questo terzo capitolo si rivela infine confuso e incongruente sotto molti punti di vista, sempre alla ricerca di un'identità che non riuscirà a trovare, anche se, almeno visivamente, rimane un prodotto di buon livello. Va detto che una delle prime versioni della sceneggiatura, ad opera di Vincent Ward, era decisamente più innovativa e cinematograficamente parlando davvero bellissima, ma a dire poco improbabile sotto il piano della credibilità:

Infine, nel 1997, esce "Alien - La clonazione" ("Alien resurrection"), sicuramente il meno riuscito dei quattro. E' diretto dall'estroso Jean Pierre Jeunet, ma il regista francese non riesce mai a trovare un suo modo di raccontare la storia, finendo per piegarsi a regole produttive schiaccianti e filmando dei momenti di pessimo cinema, oltre che di pessimo gusto. L'unico vero elemento interessante del film è la nuova versione data al personaggio di Ellen Ripley, rigenerata dopo molti tentativi di clonazione, oltre che una certa atmosfera dell'insieme:

Andrebbero poi citati anche gli spin-off, come il giocattolone "Alien vs Predator", diretto nel 2004 da Paul W. S. Anderson (un film leggero, ispirato ad una celebre serie a fumetti della Dark Horse e ad alcuni videogiochi, che ha avuto anche dei sequel), e il contestato "Prometheus" (2012), che segna il ritorno di Scott sia alla saga che al genere fantascientifico dopo quasi trent'anni e che viene presentato come una sorta di prequel del film originale. Qui gli autori cercano di riallacciarsi al film del 1979, allargandone ulteriormente il mondo, ma riescono solo ad accumulare situazioni e domande a cui nessuno si preoccupa di fornire una risposta - né il regista e né tanto meno gli sceneggiatori - o di dare una forma coerente a quello che stanno raccontando (puntando tutto su un secondo capitolo). Persino l'elemento su cui si fonda il film, ovvero lo sviluppo della figura del pilota fossilizzato presente nel relitto alieno che appare in "Alien", quello che è comunemente chiamato Space Jockey, è chiaramente una forzatura, perché le dimensioni dell'extraterrestre del primo film sono ben maggiori di quelle mostrate in "Prometheus" e la testa non è certo un casco, considerando che ha un'espressione di dolore. In più, il film, per certi versi, sembra essere più una versione horror di "Star Trek" che appartenere all'immaginario proposto da "Alien" e dai suoi sequel. Il seguito, "Alien: Covenant", del 2017, rimane sulla stessa linea di "Prometheus", finendo per ingarbugliare ancora di più la trama. Neanche Scott, quindi, riprendendo in mano il franchise, riesce a riprodurre l'effetto ottenuto con il primo film. In occasione del 40° anniversario della pellicola del '79, la 20th Century Fox ha voluto omaggiare la saga producendo sei cortometraggi inediti. Collaborando con la comunità creativa globale Tongal, sono stati esaminati più di 550 soggetti inviati da filmmaker indipendenti in giro per il mondo e selezionate le storie più fedeli allo spirito della saga ma eterogenee per ambientazione e soluzioni narrative. I registi vincitori hanno avuto accesso a materiali esclusivi come documenti di design, costumi e scenografie per dare vita a questa mini-antologia, che è stata rilasciata gratuitamente su YouTube.


Alla fine degli anni '70, in ogni caso, Ridley Scott è alla ricerca di un copione (dopo il buon successo de "I Duellanti", il suo primo, bellissimo lungometraggio, premiato a Cannes nel 1977 come miglior film d'esordio). E' interessato alla fantascienza ("2001: Odissea nello spazio" aveva aperto nuove possibilità di sviluppo di quel genere al cinema una decina di anni prima mentre c'è appena stato l'exploit mondiale di "Guerre stellari"), ma il progetto che ha tra le mani, ispirato in parte al "Dune" di Frank Herbert, sfuma per eccessivi costi. Gli viene quindi proposta un'altra storia, intitolata semplicemente "Alien", dal sapore classico ma che risulta comunque particolare e innovativa (o lo può diventare con lui in cabina di regia. Non è un segreto che i produttori del film erano convinti di fare l'ennesimo film di fantascienza a basso costo, su dei set di cartone e con una comparsa vestita con un pittoresco costume da mostro, come nella migliore tradizione dei b-movie... il risultato della lavorazione fu una sorpresa anche per loro).


"Alien" ripropone il filone fanta-horror pieno di mostri spaziali di ogni tipo che impazzava nei film di fantascienza degli anni '50, ma facendo un grande balzo in avanti rispetto all'ingenuità che caratterizzava quelle pellicole. Diversi sono gli elementi di rilievo: l'accurata orchestrazione visiva che il regista inglese introduce, con un'estetica ricercata dai chiari riferimenti gotici (molte stanze della Nostromo ricordano gli interni di alcune cattedrali) che ribaltano l'ambientazione in "stile NASA" del cinema di fantascienza degli anni '60, in cui a predominare era la purezza degli ambienti asettici e geometrici (visti in serie e film come "Star Trek" e "2001: Odissea nello spazio"). In questo modo - e con il successivo "Blade Runner" (1982) - Scott spinge a livelli estremi (e incidendo profondamente nell'immaginario collettivo) il pessimismo che in quel periodo storico il mondo stava affrontando, tra tensioni sociali e guerre, rappresentando i suoi personaggi non come efficienti astronauti incaricati di qualche importante missione ma come stanchi e disillusi operai spaziali, con tutti i problemi che il loro lavoro gli crea, e gli ambienti in cui si muovono diventano di conseguenza logori e poco invitanti, come vecchie fabbriche. Il tutto deriva anche da una certa narrativa di fantascienza che si stava affermando in quegli anni, soprattutto nel mondo del fumetto (in particolar modo in quello europeo e sudamericano), a cui Scott ha sempre attinto a piene mani. In più, qui ci troviamo di fronte alla rappresentazione di un antagonista che ha forme tanto indefinibili quanto terrificanti: una fusione "oscena" dell'umano con l'alieno, secondo l'estetica dell'artista svizzero Hans Rudolf "Ruedi" Giger, o solo H. R. Giger, come firmava le sue opere (quello che si può considerare, in questo progetto, l'asso nella manica del regista). D'ispirazione surrealista e simbolica, dopo molti anni di lavoro nel campo del design e dell'illustrazione grafica, Giger emerse di forza per l'originalità e il forte impatto emotivo delle sue visioni, vere "cartoline dall'inferno", come vennero definite. Si vedano a tal proposito, oltre all'alieno, anche il look del satellite, il relitto extraterrestre abbandonato e lo stesso pilota lì fossilizzato, tutti emersi dall'incontenibile e tortuosa fantasia di Giger (mentre al compianto Carlo Rambaldi venne dato il compito di mettere a punto la testa meccanica del mostro per essere utilizzata nei primi piani). Una delle ossessioni presenti nell'arte di H.R. Giger è quella di introdurre nell'inorganico tratti marcatamente organici e viceversa, il tutto con marcati riferimenti sessuali (come la testa della creatura aliena, decisamente fallica, e nella sua lingua retrattile, o nell'apertura a forma chiaramente "vaginale" delle porte poste sulla fiancata del relitto. Allusioni che continueranno anche negli altri capitoli della serie, ma smorzate a causa dell'allontanamento di Giger dai successivi progetti). La modalità stessa di riproduzione della creatura prevede l'inseminazione (in questo caso forzata) di un umano o di un altro essere vivente (uno "stupro stilizzato", che include però una chiara erezione esibita dall'incosciente vittima quando è stesa su un tavolo per l'esame medico) e il conseguente concepimento - nei fatti una penetrazione all'inverso -, che immancabilmente uccide chi ospita il parassita (idea ripresa dagli sceneggiatori osservando le caratteristiche riproduttive di alcuni insetti).


Esempio assoluto di "mistero, bellezza e malvagità", le creature protagoniste della saga, chiamate anche xenomorfi, hanno caratteristiche peculiari che li rendono efficaci predatori, estremamente difficili da contrastare.  Il loro aspetto è variabile (cosa che dipende da quale essere viene fecondato dall'embrione alieno): nella forma adulta hanno una postura eretta con braccia e gambe ma al contempo hanno l'aspetto degli artropodi; le loro dimensioni sono di regola superiori a quelle umane e sono in grado di correre a quattro zampe, anche sui muri; il loro cranio è di forma oblunga e possiedono una bocca munita di zanne affilate e di una lingua retrattile, dotata a sua volta di una mascella dentata, in grado di scattare e mordere la preda con estrema forza; hanno una coda che termina con un'appendice affilata, come una lama, la loro pelle è nera e liscia, adatta a mimetizzarsi nel buio, e non possiedono occhi visibili. Una specie totalmente priva di qualsiasi concetto di moralità, che ha come unico scopo la sopravvivenza, la riproduzione e lo sterminio di ogni altra forma di vita (e che si fa metafora dell'Uomo stesso).


Tutta l'estetica sviluppata per gli ambienti del film, come anche il design della creatura aliena e le architetture biomeccaniche, avranno una duratura influenza sulla fantascienza degli anni a venire.

Negli anni '70, mentre è ancora uno studente di cinema alla University of Southern California, Dan O'Bannon scrive un ironico racconto di fantascienza intitolato "Dark Star" insieme a John Carpenter e all'artista concettuale Ron Cobb. Nato come cortometraggio, il filmato, che riprende molti elementi di "2001: Odissea nello spazio" in senso parodistico, riesce a trovare un budget superiore e a diventare un film nel 1974, segnando l'esordio come regista di Carpenter. O'Bannon inizia poi a lavorare su una storia simile: "Volevo fare un film su una nave spaziale con pochi astronauti a bordo, una sorta di "Dark Star" in chiave horror invece che comica". Nel 1975, lo sceneggiatore è in Francia con Giger, Jean "Moebius" Giraud Chris Foss (quindi alcuni dei principali artefici del futuro "Alien"), per discutere dell'adattamento cinematografico proprio di "Dune", l'ambizioso progetto fortemente cercato e voluto da Alejandro Jodorowsky (di cui trovate altre notizie QUI). O'Bannon lo descrisse come un "sogno meraviglioso, ma realizzato solo in parte, consistita nel riunire nello stesso luogo i migliori artisti del fantastico presenti allora sulla piazza e chiedere a loro di visualizzarlo". Ma neppure i loro prodigiosi sforzi riescono ad evitare a "Dune" di arenarsi: "Andò a finire che mi ritrovai a Los Angeles senza soldi, senza casa e pure senza macchina", raccontò poi O'Bannon, che si rivolse allora all'amico Ron Shusett, con cui, nel giro di poco tempo, rimise mano su una vecchia sceneggiatura intitolata "Memory" - che essenzialmente è la prima parte di "Alien" - per cui O'Bannon aveva problemi ad immaginare un finale che invece Shusett risolse pensando ad un'altra storia dell'amico ambientata nella Seconda Guerra Mondiale, dove dei sabotatori si introducono in un bombardiere. I due prendono in esame anche "Ixtl", un breve racconto di Alfred Van Vogt pubblicato nel libro "Crociera nell'infinito" (Van Vogt minacciò addirittura di fare causa alla produzione di "Alien" per la somiglianza tra le due creature aliene, e fra le parti fu infine raggiunto un accordo economico), e "Il mostro dell'astronave", un piccolo e dimenticato film di fantascienza del 1958 diretto da Edward L. Cahn (Scott si ispirerà, almeno visivamente, comunque anche ad uno dei rari film di fantascienza realizzati in Italia, e cioè "Terrore nello spazio", diretto da Mario Bava nel 1965). Ma in "Alien" si ritrova anche molta letteratura horror e gotica di fine dell'800 e inizio del '900, e il pensiero corre soprattutto a Howard Phillips Lovecraft e al suo "Le montagne della follia", che la prima parte del film cita abbondantemente.


La nuova storia, intitolata "Star Beast", viene così completata, e O'Bannon la immagina ispirato anche dal lavoro fatto da Giger per "Dune". Un altro degli illustratori coinvolti in "Dune", Ron Cobb, viene contattato da O'Bannon e Shusett per cominciare a definirne l'aspetto visivo; Cobb accetta, anche se, ricorderà l'artista, la sceneggiatura iniziale prevedeva un "impegno dalle dimensioni più ridotte". Le cose cambiano nettamente quando la sceneggiatura arriva ai dirigenti della Brandywine Productions, che poco dopo stringono un accordo con la 20th Century Fox. La storia viene resa più agile dalle mani di Walter Hill e di David Giler, che sopprimono alcune scene, ritenute superflue o mal scritte, e ne sviluppano altre; Hill avrebbe voluto occuparsi anche della regia, ma, oberato di impegni, decide di puntare su altri registi, che però, per diversi motivi, non accettano (tra cui Robert Aldrich e Steven Spielberg), fino ad arrivare a Ridley Scott, giovane filmmaker che in quegli anni si stava affermando. Come ricordato dallo stesso Scott, lui lesse lo script di "Alien" e firmò il contratto in meno di un'ora. A quel punto entra nel progetto anche Giger, grazie all'ostinazione di O'Bannon, che non ha mai smesso di pensare ai disegni dell'artista svizzero e li sottopone a Scott, che ne rimane vivamente impressionato (la frase del regista che O'Bannon ricorda è: "Accidenti... non so se i miei problemi sono finiti o sono appena cominciati"): Giger si rivela l'uomo giusto nel posto giusto e il risultato del suo lavoro è sorprendente; tutto è lontanissimo da ciò che, fino ad allora, si è mai visto sullo schermo. Anche Moebius collabora al film, ma solo per poco tempo (realizzò parecchie illustrazioni per i varie sequenze, ma solo la sua concezione delle tute spaziali venne poi mantenuta). Il cast tecnico si supera, compreso il compositore della colonna sonora Jerry Goldsmith, facendo diventare "Alien" un prodotto innovativo su più fronti e che avrà, come detto, una lunga influenza sui film del genere realizzati successivamente.

Una novità importante (in un film di fantascienza, soprattutto) è anche la presenza di una protagonista femminile piuttosto credibile (almeno nel primo film) come atteggiamenti e reazioni: Ellen Ripley, interpretata dall'allora quasi esordiente Sigourney Weaver, che finirà per diventare un riferimento della serie. Lo spazio da dare a Ripley nella storia fu una variazione sulla sceneggiatura originale, che prevedeva invece il personaggio di Dalla in quel ruolo.


Il risultato è quindi "Alien", una delle più inquietanti rappresentazioni che il cinema abbia mai offerto sulla condizione della specie umana nel cosmo. L'angoscia generata dal film sta proprio nella situazione narrata: il disperato girovagare dell'equipaggio tra i claustrofobici labirinti dell'astronave in cerca di (un'impossibile) salvezza, fa crescere progressivamente il terrore, sia nei personaggi che nel pubblico, insieme alla consapevolezza che l'alieno, superiore in tutto, bracca gli umani in un gioco crudele che permette solo la fuga o la morte come possibili esiti (Scott fece un parallelo tra la trama del film e la struttura di "Dieci piccoli indiani", uno dei romanzi più celebri di Agatha Christie). La famosa sequenza della nascita dell'alieno dal corpo di uno degli astronauti, è resa ancora più efficace dalla sorpresa autentica mostrata dagli attori, che non erano stati messi totalmente al corrente dei dettagli della scena. A proposito di quella scena, Ridley Scott raccontò una telefonata ricevuta da Stanley Kubrick: "Come hai fatto? L’ho rivista anche in slow motion, ma non sono riuscito a vedere il taglio", mi disse. Gli raccontai nel dettaglio come era stata ottenuta la sequenza e rispose: “Ok. Direi che ha funzionato":

Al fine di aumentare il senso di claustrofobia per gli attori e le attrici, Ridley Scott fece in modo che le pareti dei set si avvicinassero leggermente l'una all'altra, giorno dopo giorno. Nel film, il set con il pilota fossilizzato (il già citato Space jockey) non poteva essere costruito grande quanto desiderato da Scott (comunque la scultura era lunga 8 metri), e quindi il regista decise di usare nella scena i suoi figli in tuta da astronauta (pare insieme ad un 5enne Christian Bale) per rendere maggiormente l’idea della grandezza della struttura; Scott riteneva fondamentale questa sequenza, perché doveva dare l’idea che il film non fosse stato girato con un budget modesto. Per indossare il costume e quindi interpretare la creatura aliena fu scelto il giovanissimo Bolaji Badejo, un attore e studente di design di origine nigeriana alto oltre due metri. Il montaggio originale includeva molte più scene violente, ma a causa delle reazioni negative del pubblico delle proiezioni test (e della possibilità di una valutazione "X", cioè vietato ai minori di 18 anni e quindi successo al botteghino precluso in partenza), le scene eccessivamente sanguinolente vennero accorciate o eliminate. Quasi tutto il materiale girato venne incluso nel film, con poche scene eliminate perché ritenute superflue. La più famosa tra queste è sicuramente il momento in cui Ripley arriva a scoprire che alcuni componenti dell'equipaggio aggrediti dall'alieno non sono stati uccisi ma solo immobilizzati attraverso copiose secrezioni e utilizzati come una sorta di fertilizzante organico per essere trasformati in uova da cui poi nasceranno altri alieni. Una situazione presentata poi in vari sequel ma introducendo una regina madre che deposita le uova, mentre qui veniva suggerita l'idea che l'alieno poteva avere caratteristiche ermafrodite, come ulteriore segnale della sua capacità di sopravvivenza in condizioni avverse:

Una delle scene fatte interpretare come provino a Sigourney Weaver per ottenere la parte di Ripley in "Alien" non arrivò invece ad essere girata davvero e inserita quindi nel film, e prevedeva l'idea di una relazione amorosa tra lei e il capitano Dallas interpretato da Tom Skerritt:

Nel 1980 il film vince l'Oscar nella categoria Migliori effetti speciali e visivi (a cura di Hans Ruedi Giger, Carlo Rambaldi, Brian Johnson, Nick Allder e Denys Ayling) ed ha la nomination come Migliore scenografia (di Michael Seymour, Leslie Dilley, Roger Christian e Ian Whittaker). Nel 2002 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti. Nel 2008 viene inserito al 33º posto della "Lista dei 500 film più grandi di tutti i tempi" della rivista cinematografica Empire.


Nel 2019 è uscito "Memory - The Origins of Alien", un documentario di Alexandre O. Philippe, regista di "78/52" (documentario interamente dedicato alla scena della doccia di "Psyco"), è incentrato sull'origine di questo fantahorror: "Memory" è un'esplorazione del potere del cinema e dei miti. Ovviamente Ridley Scott occupa un'ampia parte in tutto questo, ma molto spazio sarà dedicato anche a Dan O'Bannon e a H. R. Giger. Siamo stati molto fortunati a poter lavorare con Diane O'Bannon, la vedova di Dan, e che è anche uno dei nostri produttori esecutivi. Ha aperto l'archivio di suo marito per la prima volta, quindi ci sono molte cose di cui i fan hanno probabilmente sentito parlare ma che non hanno mai visto. Ciò include la versione originale della sceneggiatura, che si intitolava appunto "Memory" e che risale al 1971. Abbiamo lavorato a stretto contatto anche con gli eredi di Giger, e quello che ci hanno fornito è davvero notevole". Qui trovate invece "Alien: Behind the scenes", un altro lungo documentario che racconta la genesi e lo sviluppo del film:

Buona visione!



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