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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

I viaggi nel tempo di Hermann, tra cavalieri, cow-boy e mostri umani

Aggiornamento: 6 set 2023

Tra i più rappresentativi autori del fumetto franco-belga, Hermann si è da tempo ritagliato un posto di riguardo nel cuore dei lettori di tutto il mondo.

"Non penso a me stesso come un artista. Sono coscienzioso, ma so di non essere Picasso. Sono un artigiano, anche se a volte riesco a fare un po' meglio di un lavoro artigianale. Non ho però mai deluso un editore dandogli un prodotto scadente. Il mio lavoro è una via di fuga, solo un modo di dimenticare per un po' la banalità dell'esistenza." (Hermann)

E' una delle firme più importanti e prestigiose del fumetto franco-belga, ed è ormai da molto tempo che Hermann incarna la quinta essenza di una precisa idea di fumetto, che non risulta mai prevedibile o scontata, ma, al contrario, sempre intelligente, raffinata, attenta, e questo senza rinunciare ad una narrazione e a una messa in scena coinvolgente, che appaga, come pochi altri autori sanno fare, il cuore e la mente dei lettori. Ispirato ai suoi esordi dallo stile di Jijé (Joseph Gillain), una delle grandi firme del fumetto belga e riferimento per diverse generazioni di autori (è stato, tra gli altri, anche il maestro di Jean Giraud), in quel periodo il disegno di Hermann risulta ancora grezzo, ma la rapidità con cui l'autore riesce, storia dopo storia, a farlo maturare è tanto sorprendente quanto indice inequivocabile di una capacità di sintesi e di elaborazione grafica non comune. Nel giro di poco tempo Hermann raggiunge un segno personalissimo e inconfondibile, un mirabile amalgama dei moltissimi elementi che lo hanno influenzato e che, negli ultimi tempi, ha avuto un ulteriore arricchimento dall'uso del colore, steso in modo decisamente espressionistico; da anni, infatti, realizza le sue tavole colorando direttamente sulla matita senza più passare per l'inchiostrazione. Al di là dei magnifici risultati ottenuti, Hermann non ha mai smesso di mettersi in discussione. In un'intervista rilasciata a Cédric Illand, alla domanda: "Quali aspetti del tuo disegno stai cercando di migliorare?", ha risposto: "È soprattutto una certa anatomia che mi sfugge. Vorrei sapere di più su come gestire i volti e sono ossessionato dal desiderio di comprendere meglio la varietà delle espressioni. Soffro davvero perché l'anatomia è una materia infinita". Hermann è il nome d'arte di Hermann Huppen, nato il 7 luglio del 1938 a Bévercé, un piccolo paese belga nella regione delle Ardenne. Dopo aver lavorato in una ebanisteria e in uno studio di architettura, a 17 anni emigra con la sua famiglia in Canada, nel Québec, restandoci per 3 anni durante i quali impara la decorazione e l'architettura di interni (conoscenze che si rifletteranno molto anche nel suo stile di disegno). Tornato in Belgio, continua a lavorare nel settore dell'architettura frequentando anche l'Accademia di Belle Arti di St.Gilles a Bruxelles, ma poi, spinto da suo cognato Philippe Vandooren (che in seguito diverrà redattore capo della rivista "Spirou" e direttore editoriale della Dupuis), prova a dedicarsi alla BD (Bande Dessinée, ovvero "striscia disegnata", come sono chiamati i fumetti in Francia e Belgio). Esordisce realizzando alcune storie per "Plein Feu", una rivista degli scout diretta dallo stesso Vandooren, a cui seguono tre storie della serie "L'Oncle Paul", apparse questa volta su "Spirou" nel 1963/64. Per "Plein Feu" disegna il numero speciale "Histoire en able", uscito nel febbraio del 1965. Il suo talento, già evidente, viene notato da uno dei maggiori autori belgi di quegli anni, Michel Regnier (meglio conosciuto con gli pseudonimi di Louis Albert e Greg), che gli propone di entrare a lavorare nel suo studio, un collettivo di disegnatori e sceneggiatori, dove, dal 1966, inizia ad illustrare la prima serie che gli darà una certa celebrità, quella di "Bernard Prince", un ex-agente dell'Interpol, scritta proprio da Greg e pubblicata sull'edizione belga del settimanale "Tintin". Per "Bernard Prince" Hermann farà un lavoro splendido, e la serie sarà l'apripista per tutti i progetti futuri:

Nel 1967, sempre su "Tintin", appare "Jugurtha", una serie storica con i testi di Jean-Luc Vernail, a cui Hermann lavora comunque per poco tempo.


Il 1969 è l'anno della svolta: sempre su sceneggiature di Greg, Hermann inizia a disegnare la serie intitolata "Comanche".

Verna Fremont, soprannominata Comanche, è la determinata proprietaria del Ranch 666, ma sta subendo pressioni da gente che vuole impadronirsi della sua terra.

A lavorare al ranch arriva un giorno uno strano tipo dai capelli rossi chiamato Red Dust, e Comanche si troverà al suo fianco, oltre gli altri componenti del 666, il vecchio Ten Gallons, il nero Toby, lo scavezzacollo Tenderfoot Clem e il cheyenne Macchia di Luna, proprio quell'uomo, che farà la differenza.

"Comanche" ottiene in breve tempo un grande riscontro diventando una delle migliori serie western europee, e di certo è il primo vero capolavoro di Hermann, dove le tavole, per inquadrature, messa in scena, dinamismo e atmosfere, lo fanno definitivamente emergere come un disegnatore di assoluto rilievo nel panorama franco-belga della BD.

Pubblicata inizialmente a puntate su "Tintin" dal dicembre del 1969, la serie è poi stata rieditata il volume nel 1972 dalle edizioni Le Lombard. Hermann la disegna fino al numero 10, uscito nel 1983, per poi passare il testimone a Michel Rouge.

Un altro passo importante lo compie quando decide di iniziare a scrivere da sé i testi delle sue storie a fumetti. Da subito si avverte una certa visione dell'autore, e cioè il suo pessimistico sguardo sul mondo e, ancora di più, sull'essere umano. In un'intervista disse: "L'essere umano è una mostruosità. Certo, esistono delle eccezioni e alcune persone sono belle, ma la natura umana è un'altra cosa e l'uomo non può essere migliorato. Nel nostro tempo, dati i mezzi di comunicazione, siamo consapevoli di ciò che accade in tutto il mondo, ma l'interesse per questa mole di informazioni dura solo per pochi minuti, per essere poi volentieri sostituito da cose e argomenti dozzinali. Guarda la Birmania, non se ne parla quasi più. L'orrore è ovunque, costantemente. È peggio di prima? Non lo so. Le mie storie non sono moraliste, ma voglio mostrare l'essere umano così com'è. Provo un particolare piacere nel dirgli: "Smetti di guardarti allo specchio, di pettinarti, sarai sempre orribile". I protagonisti delle sue storie, spesso privi di ogni ideologia o idealismo, sono costretti a confrontarsi con realtà dure e minacciose e in cui le vittorie non sono consacrazioni definitive ma temporanei successi nella lotta per la sopravvivenza.

Nel 1979 debutta in tal senso con una delle serie a cui Hermann legherà di più il suo nome, la post-apocalittica "Jeremiah", dove vengono mescolate due sue grandi passioni: la fantascienza distopica e il western. Apparsa inizialmente a puntate sulla rivista tedesca "Zack" dell'editore Koralle, viene poi ripubblicata su "Super-as" in Belgio e da "Métal Hurlant" in Francia, per essere poi rilevata dalla casa editrice Dupuis.

La serie, vagamente ispirata al romanzo "Diluvio di fuoco" di René Barjavel, esordisce con l'episodio intitolato "La notte dei rapaci". Qui Hermann dà sfogo pienamente e liberamente al suo talento, dando forma ad un mondo devastato ma ancora riconoscibile, plasmando gli ambienti urbani e quelli naturali secondo il suo estro e il suo gusto (in "Jeremiah" i paesaggi sembrano rendere conto più allo stato d'animo dei personaggi che a precisi luoghi geografici), e producendo tavole di straordinaria bellezza. Per testi e disegni, non è errato definire non pochi volumi di questa collana degli autentici capolavori. Per anni le tavole di "Jeremiah" sono state affidate per la colorazione alle abilissime mani di Fraymond e poi di Željko Pahek, ma dal 1990 Hermann ha preso in mano anche quell'aspetto della lavorazione, cominciando a completarle direttamente con gli acquerelli. "Jeremiah", definito con ragione "Un fumetto eccezionale" da Henri Filippini nel suo noto "Dictionnaire de la bande-dessinée", diventa quasi istantaneamente uno dei maggiori successi di Hermann, trovando un plauso senza riserve nel pubblico. E' una delle serie più longeve prodotte dall'autore: è infatti ancora in corso (l'ultimo episodio in ordine di tempo è "La Bestia", uscito nel settembre del 2019) e ha avuto anche una versione televisiva, anche se del materiale originario è restato ben poco. Nel video qui presente, oltre a molte vignette tratte dalla serie di "Jeremiah" sono state inserite anche altre immagini, prese da storie brevi e autoconclusive di Hermann.

Nello stesso periodo, sempre per la rivista "Spirou", produce anche tre albi di "Nick", ispirata dal "Little Nemo" di Winsor McCay e su testi di Morphée (lo pseudonimo con cui Philippe Vandooren, firma i suoi lavori).


Nel 1983 inizia un'altra tappa determinate della sua produzione da autore completo: esce la prima storia di "Le Torri di Bois-Maury":

Apparsa per la prima volta sulla rivista jugoslava "Strip Art Features" nel 1984, arrivata poi in Francia nel numero 73 del mensile "Circus" e poi proseguita su un'altra rivista, "Vecu", la serie è ambientata in un medio evo sospeso tra realtà e suggestioni oniriche che è, a suo modo, anche un sorprendente viaggio nel tempo in cui Hermann riesce a dimostrare un nuovo livello raggiunto dal suo disegno, realizzando tavole assolutamente strabilianti, vigorose ed eleganti allo stesso tempo, dove la ricerca iconografica si sposa alla perfezione con le caratteristiche del suo stile, tra affascinanti e maestosi paesaggi, ambientazioni diversissime ma sempre messe in scena con efficacia e sapienza, interni inquadrati con azzardate prospettive e atmosfere così dense da togliere il fiato. Anche in questo caso, moltissimi volumi realizzati per questa collana sono a tutti gli effetti dei veri capolavori del fumetto.

Autore estremamente prolifico, all'interno della sua vasta produzione non sono di certo mancati racconti brevi o brevissimi realizzati per innumerevoli riviste (come quelli della serie "Abominable" del 1988), ma da un certo momento in poi Hermann si è dedicato anche a storie più corpose pur se sempre autoconclusive (QUI trovate un elenco completo), che abbinano avventura e denuncia sociale e che lo porteranno a consolidare la sua fama a livello internazionale. Tra quelle che meritano una segnalazione ci sono "Missié Vandisandi" (1991) che tratta il periodo dell'Africa coloniale, o "Caatinga" (1997), una storia ambientata nella regione del Sertão, nel nord-est brasiliano, con al centro la ribellione del movimento sociale del cangaço e che è un altro importante tassello che testimonia il grande valore della sua arte, e ancora "Hanno ucciso Wild Bill" (1999), volume con cui torna al genere western, qui con toni ancora più crepuscolari di quelli visti in "Comanche" ma con esiti sempre eccezionali. Nel 2000, su testi di Jean Van Hamme, disegna "Luna di guerra" e nel 2007 esce poi "Afrika", un realistico ritratto di un continente sontuosamente bello per la ricchezza dei suoi paesaggi e della sua fauna, ma anche afflitto da eterni conflitti sociali e politici. Più di recente Hermann ha realizzato diverse opere con la collaborazione del figlio Yves H. (Yves Huppen), con cui ha elaborato un particolare rapporto di lavoro che, per quanto complesso e non affatto semplice, soddisfa entrambi.

Ma è "Sarajevo Tango" (1995) - con cui vince il premio Oesterheld, ambito riconoscimento dedicato alla memoria di Héctor Oesterheld (uno dei padri dell'historieta argentina e de "L'Eternauta", finito nello sterminato numero dei desaparecidos) - uno dei lavori per cui è più noto. Più che da una documentazione diretta sul posto (cosa che accomuna molti altri progetti di questo autore) il volume nasce da una vicenda personale, quella vissuta dal suo amico e agente Ervin Rustemagic, oltre che per l'indignazione per l'ipocrisia della politica ufficiale durante durante la guerra nella ex Jugoslavia. In "Sarajevo Tango" Hermann narra le peripezie di un mercenario pagato per salvare una bambina a Sarajevo, città stretta nella morsa dell'assedio causato dal conflitto in corso, e cercare di riportarla dalla madre, ma non risparmia accese critiche per la gestione di quella crisi da parte dell'ONU, organizzazione rappresentata nelle sue tavole in chiave grottesca. E' con "Sarajevo Tango" che Hermann cambia radicalmente il suo modo di lavorare, ed è qui che inizia a usare il colore direttamente sulle tavole: "E' stato un cambiamento brutale che mi ha preoccupato non poco, ma non volevo che questo titolo avesse lo stesso aspetto di uno dei miei normali fumetti. Ho scelto il colore diretto per questo scopo, e poi non mi sono più fermato". Gran parte delle sue opere sono state pubblicate in Italia su riviste come "Corriere dei ragazzi", "Skorpio", "Lanciostory", "Comic Art" e "L'Eternauta", poi ripresentate in volumi cartonati o albi brossurati editi da molte case editrici come Comic Art, Eura Editoriale, Alessandro Editore, Editoriale Cosmo, GP Publishing, RW Lion, Rizzoli e Mondadori. Nel 2016, un po' a sorpresa, considerando che l'autore è stato per tantissimo tempo snobbato dalla fiera di Angoulême (probabilmente a causa della fama legata al suo carattere poco affabile. Anche per questo, sono rare le interviste da lui rilasciate), Hermann si aggiudica il Grand Prix, diventandone, a 77 anni, il vincitore più anziano.

QUI trovate il suo sito, che offre un'ampia panoramica delle sue produzioni e aggiorna costantemente sui progetti in lavorazione. Nei video seguenti si può ammirare Hermann nel suo studio impegnato nella realizzazione di alcune tavole:


Buona visione e letture!





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