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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (34): "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini (1976)

Aggiornamento: 23 lug 2023

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario)

Settima arte: "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini (Italia/Francia/Germania - 1976)

Sceneggiatura: André-Georges Brunelin, tratta dall'omonimo romanzo di Dino Buzzati, uscito nel 1940.

Con: Vittorio Gassman, Jacques Perrin, Max von Sydow, Helmut Griem, Giuliano Gemma, Jean-Louis Trintignant, Laurent Terzieff, Fernando Rey, Francisco Rabal, Philippe Noiret, Lilla Brignone, Giuseppe Pambieri.

"Trascorreranno quindici anni prima che egli inizi a rendersi conto che il tempo è fuggito, prima che riesca ad individuare, a ritroso, perfino l'attimo esatto in cui la giovinezza gli è sfuggita di mano. La prima sera che fece le scale a un gradino per volta." (da "Il deserto dei Tartari" di Dino Buzzati - 1940)

"Al di là della Fortezza c'è un deserto, e poi il nulla. Il deserto dei Tartari. Lo hanno certamente attraversato, secoli fa. Poi sono scomparsi, dopo aver distrutto l'antica città. Il deserto ha conservato il loro nome, ma più la storia è remota, più gli uomini la deformano con le leggende, e così la verità diventa indecifrabile." (da "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini - 1976)

"Qui o altrove siamo tutti da qualche parte per sbaglio." (da "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini - 1976)

"Il tenente Giovan Battista Drogo, di fresca nomina, viene assegnato con sua sorpresa alla fortezza Bastiano, un avamposto ai confini dell'impero che si trova dinanzi al deserto anticamente abitato dai Tartari. Giunto a destinazione, Drogo avverte come, in quel luogo, ogni militare, dal semplice soldato ai più alti gradi, sia in attesa dell'arrivo dell'ormai misterioso nemico e quanto la vita dell'intera guarnigione dipenda da quell'attesa. Il giovane tenente cerca di farsi trasferire, non è nei suoi progetti fermarsi nella fortezza a lungo, ma la monotona, quasi tranquillizzante atmosfera che regna tra quelle mura unita alla speranza di farsi valere in caso di una guerra, gli fa rimandare la sua partenza..."

Il romanzo omonimo di Dino Buzzati aveva attratto da subito più di uno sceneggiatore e regista (tra cui Michelangelo Antonioni e Miklós Jancsó) ma tutti avevano finito con l'arrendersi dinanzi alla difficoltà delle particolari necessità dell'ambientazione, perché anche se lo scrittore situa la vicenda in una dimensione atemporale e la stessa Fortezza Bastiani (Bastiano nel film) può essere solo immaginata e considerata un luogo non identificabile (Buzzati si spinse a dire che avrebbe potuto anche essere la redazione del Corriere della sera, il giornale a cui collaborava in quegli anni, e alcune dinamiche quotidiane che caratterizzavano in lavoro in quel luogo servirono infatti allo scrittore come spunto per il romanzo), in un film deve per forza acquisire una dimensione visivamente accettabile. Una possibile versione cinematografica viene accantonata fino al 1963, quando il libro esce in Francia in edizione tascabile. Sarà il giovane Jacques Perrin (già attore per Valerio Zurlini in "Cronaca familiare" e poi protagonista di questo film) a rilanciare l'idea. La collocazione storica viene fissata alla fine dell'800 con una forte connotazione austro-ungarica - che la famiglia Buzzati-Traverso aveva ben conosciuto - e il luogo (assolutamente fondamentale) fu identificato nella splendida la fortezza di Arg-e Bam, nel sud dell'Iran (ora distrutta dal terremoto del 2003). Alcune scene aggiuntive furono poi girate a Bressanone, in Alto Adige, e nella zona di Campo Imperatore, in Abruzzo, mentre gli interni furono creati a Cinecittà.

L'ambientazione scelta per il film, a cavallo tra fine '800 e inizio '900, che gli fornisce il giusto senso di realismo, fu quasi obbligata per lo sceneggiatore e per il regista. Come detto, sono aspetti assenti nel romanzo, come in quasi tutta la poetica di Buzzati; anzi, nel libro tutto è reso volutamente ambiguo, perché non erano dettagli necessari ad un'opera letteraria a forte contenuto simbolico e sospesa nel tempo, ma nel film il discorso è diverso e i personaggi e gli eventi devono necessariamente trovare una cultura e un'epoca identificabile, per quanto, anche in quel caso, si tratta di un limbo fuori dalla Storia. Il periodo storico utilizzato per il film era poi l'unico che si prestava a rendere plausibili molti particolari presenti nel romanzo (eserciti con cavalli, armi da fuoco e cannoni e cannocchiali per l'osservazione), e analogamente l'Impero austro-ungarico di quel tempo era un'entità storica che poteva giustificare molti di quegli elementi. Però Zurlini e il suo sceneggiatore suggeriscono comunque che non si tratta di un tempo e di un luogo reale, a cominciare dalla data che viene citata all'inizio della pellicola, quel "lunedì 2 agosto, 1907", che, per gli anni che Drogo passa nella fortezza, fanno capire che in quel posto non è avvenuta né arrivata notizia di nessuna Prima Guerra Mondiale.

Il film, meravigliosamente fotografato dalla pulita tecnica di Luciano Tovoli, rimane comunque piuttosto fedele al libro (tranne che per diversi dettagli, piccoli o grandi, tra cui il nome della fortezza, o la descrizione del carattere di alcuni personaggi e di alcuni eventi, come il finale, che fu modificato per problemi produttivi), perché fondamentalmente sia Buzzati che Zurlini condividevano una visione della vita dominata da un senso di attesa, da una sensazione di inutilità, da una profonda malinconia: "Vivere la vita non ha altro fine che lasciarla passare e la morte è l'unica giustificazione" così si esprimeva il regista individuando questo tema come il fil rouge di tutta la sua filmografia. Grazie a un cast di altissimo livello, con attori perfettamente adatti ai ruoli assegnati, Zurlini fa del suo film un’opera corale, e se nel romanzo di Buzzati era principalmente la voce del protagonista a raccontarci la ritualità della vita militare nella vana attesa di una guerra e della conseguente gloria che può arrecare, nel film conosciamo la consapevolezza e la disillusione in tutti i personaggi, che vengono rivestiti di dimensioni psicofisiche sempre definite per quanto tutti aleggino come fantasmi tra la fortezza e il deserto. La vita di questi uomini è permeata dalla noia e dalla spasmodica ricerca di un segno del nemico, di un guizzo di vita, mentre nell'orizzonte nebbioso del deserto che li circonda appaiono ogni tanto dei segni, ma per lo più indecifrabili e sfuggenti. Un immobile e sterile ripetersi di giorni, che scorrono via come i granelli di sabbia sul palmo di una mano, diventano il simbolo del dramma esistenziale: la certezza di annullarsi nella propria stessa esistenza. Non ci si può opporre al vento del deserto come alla fine che tutti attende.

Da sottolineare è anche lo splendido commento sonoro realizzato da Ennio Morricone, che scandisce con grande sensibilità il fluire dei sentimenti e le varie e avvolgenti atmosfere del film.

"Il deserto dei Tartari", che fu l'ultimo film diretto da Zurlini nella sua travagliata carriera, è un'opera che può peccare forse di didascalismo ma che risulta innegabilmente essere anche una visione intensa e affascinante.

Nel 1977 il film ebbe diversi riconoscimenti, tra cui il David di Donatello come miglior film e miglior regia, in ex aequo con "Un borghese piccolo piccolo", e David speciale a Giuliano Gemma.




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