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Settima arte: "Macbeth" di Orson Welles (id. - USA - 1948)
Sceneggiatura: Orson Welles, tratta dall'omonima tragedia di William Shakespeare composta tra il 1605 e il 1608.
Con: Orson Welles, Jeanette Nolan, Dan O'Herlihy, Roddy McDowall, Edgar Barrier, Alan Napier, Erskine Sanford, John Dierkes, Keene Curtis, Peggy Webber, Lionel Braham, Archie Heugly, Jerry Farber, Christopher Welles.
"La vita non è che un'ombra che cammina…"
(da "Macbeth" - 1948)
"Scozia, pieno Medioevo. In una giornata di tempesta, tre Streghe decidono che il loro prossimo incontro dovrà avvenire in presenza del futuro re. Quello stesso giorno a re Duncan di Scozia viene riferito che i suoi generali, Macbeth e Banquo, hanno appena sconfitto le forze norvegesi e irlandesi, guidate dal ribelle Macdonwald. Macbeth, congiunto al re, è lodato per il suo coraggio e la prodezza in battaglia. Mentre Macbeth e Banquo passeggiano nella tetra brughiera, le tre Streghe compaiono davanti a loro, pronunciando una profezia, ma esse si rivolgono a Macbeth: la prima lo saluta per quello che è, il Barone di Glamis, la seconda invece lo riconosce come Barone di Cawdor, e la terza gli preannuncia che diverrà re. Svaniscono subito dopo, mentre sopraggiunge un messaggero che informa Macbeth che ha appena acquisito il titolo di Barone di Cawdor. Immediatamente Macbeth pensa che l'intera profezia potrebbe avverarsi e l'ambizione di diventare re comincia a farsi sinistramente strada in lui..."
Il "Macbeth" di Orson Welles (1915-1985) è diventato l'emblema di un estremo esercizio per tradurre un progetto in un cinema incredibilmente suggestivo e narrativamente solenne avendo a disposizione però un budget irrisorio e di conseguenza pochissimi mezzi.
Una vera scommessa per il geniale regista americano, sia con se stesso che col sistema hollywoodiano, da cui si era allontanato e di cui non amava le pressanti (e spesso castranti) dinamiche produttive.
La Republic (casa di produzione e distribuzione cinematografica statunitense fondata nel 1935 e conosciuta anche per aver distribuito molti serial cinematografici negli anni '40 tratti dai personaggi dei fumetti in voga all'epoca) prestò alcuni studi a Welles, che si arrangiò al meglio delle sue possibilità, avendo a disposizione solamente 65mila dollari.
Da grande appassionato di Shakespeare, Welles aveva già messo in scena quell'opera in altri contesti prima di arrivare all'adattamento cinematografico, e si ricordano infatti il "Voodoo Macbeth" al Federal Theatre di Harlem (nel 1936), ambientato ad Haiti ed interpretato da attori di colore; l'allestimento allo University Theatre di Salt Lake City per lo Utah Centennial Festival (nel 1947), un lavoro che risultò poi influente in questo film; e la versione radiofonica (1937) e discografica (1939) con la compagnia Mercury Theatre, da lui fondata.
Fra teatro e cinema, Welles adattò anche altri drammi del bardo inglese, ma a quanto pare fu questo il suo prediletto, presentando il maggior numero di rappresentazioni.
La sete di potere, l'ossessione, la pazzia e la distruzione: Macbeth è già tutto questo ma può diventare anche molto altro, perché dietro la macchina da presa c'è il genio di Orson Welles.
Macbeth trova il suo adeguato spazio all'interno della filmografia del regista, modellato nelle sue mani come personaggio a lui congeniale e molto più vicino al protagonista di "Quarto potere" di quanto non si pensi: quello che Welles attua è uno studio psicologico di un uomo megalomane e completamente folle, ma infine anche patetico e miserevole.
Nessuna delle figure cesellate da Welles è esente e sfugge dall'abisso di tenebra da lui orchestrato, e nel film, Lady Macbeth, colei che spinge inesorabilmente il marito a verso il suo destino, sembra quasi ringiovanire con il passare del tempo; all'inizio mostra rughe e imperfezioni della pelle, poi, mentre lui sembra via via invecchiare, farsi più corpulento (ma il film è stato girato in pochi giorni) e appesantito dai suoi rimorsi, lei diventa sempre più giovane, come se a ridarle linfa vitale fosse davvero il male che sta orchestrando.
"Nell'"Amleto" di Olivier e anche di questo "Macbeth", si sente da parte degli autori lo sforzo di uscire dal palcoscenico, di adattare un testo al linguaggio cinematografico, dove insomma l'opera più che di semplicistica trasposizione è di regia, cioè di invenzione, di gusto, di responsabilità", così Ennio Flaiano descrisse l'opera di Welles presentata nel 1948 insieme all'"Amleto" di Laurence Olivier alla Mostra del cinema di Venezia, mentre, nel 1950, Jean Cocteau definì così il film: "Il "Macbeth" di Orson Welles è un film maledetto, nel senso nobile del termine. Lascia gli spettatori sordi e ciechi, e credo proprio che le persone che lo apprezzeranno (alle quali io mi vanto di appartenere) saranno molto poche. Welles ha girato assai in fretta questo film, dopo innumerevoli prove. Vale a dire che voleva preservargli il proprio stile teatrale, cercando di provare che il cinema può mettere la sua lente su tutte le opere e disprezzare il ritmo che si immagina essere quello del cinema. Il "Macbeth" di Welles ha una forza selvaggia e disinvolta. Con il capo coperto di corna e di corone di cartone, vestiti di pelli come i primi motociclisti, gli eroi del dramma si muovono nei corridoi di una specie di metropolitana di sogno, in scantinati distrutti dove l'acqua gocciola, in una miniera abbandonata. Nessuna ripresa è casuale. La cinepresa si trova sempre piazzata in luoghi da dove l'occhio del destino segue le proprie vittime".
E di invenzioni il regista ne adottò parecchie, nonostante (ma soprattutto per) le scarse risorse economiche, che però vennero utilizzate al meglio, cercando in ogni modo di coprire le lacune scenografiche e la povertà dei costumi con giochi di luce e ombre di derivazione fortemente espressionista, collocando la storia in un tempo indefinito (un'ambientazione tra il barbarico, il medioevale e la favola, dove i guerrieri sembrano più vichinghi o mongoli più che scozzesi, pur se qualche kilt c’è), che risulteranno di grande impatto visivo ed emotivo, la vera anima del film.
Con un set ridotto all'osso, Welles punta sull'assoluta perfezione delle inquadrature (non una sbagliata, come annotò Cocteau).
Con il suo "Macbeth" il regista compie un miracolo di messa in scena, tanto da sovvertire i canoni di lettura dell’opera teatrale e dell’opera filmica: dove la prima si manifesta nello spazio della tridimensionalità, offrendo un surrogato di realtà, e la seconda, invece, si esprime nella bidimensionalità dell’immagine proponendo allo spettatore l’ambientazione di un altrove perfino libero da ogni legame con il reale, Welles sembra lavorare proprio su questi concetti, e sono le riflessioni di Cocteau a dare la misura del lavoro sperimentale di Welles, collocandolo sia nell'interpretazione del teatro shakespeariano che, complessivamente, nella sua opera.
Welles gira il suo film trasformando i sentimenti in materia modellata dal suo volto coperto di ombre, dalle nere silhouette dei suoi personaggi, avvolgendo il tutto in una massiccia oscurità, riuscendo a trasferire sulla pellicola non solo i sentimenti, ma il loro spessore.
Un "linguaggio buio", come è stato definito, che è restato nella storia del cinema.
Dopo la prima proiezione negli Stati Uniti, avvenuta il 1º ottobre, il produttore esecutivo della Republic, Charles K. Feldman, chiede a Welles di eliminare l'accento scozzese del playback, costringendolo a ricorrere al doppiaggio, e di ridurre la lunghezza del film di circa venti minuti.
Dalla durata originale di 102' passa quindi a quella di 81' della versione distribuita.
81 minuti, ma tutti densi e perfetti, e nonostante il film non ebbe successo al suo esordio, con il passare degli anni venne completamente rivalutato sia dalla critica che dal pubblico.
Qui di seguito trovate l'intro e una clip del film:
Buona visione!
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