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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (32): "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" di Sydney Pollack (1972)

Aggiornamento: 8 set 2020

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario)

Settima arte: "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" di Sydney Pollack ("Jeremiah Johnson" - USA - 1972)

Sceneggiatura: John Milius, Edward Anhalt (e Sidney Pollack non accreditato).

Con: Robert Redford, Will Geer, Stefan Gierasch, Delle Bolton, Josh Albee, Joaquín Martínez, Allyn Ann McLerie.

"Veterano della Guerra messicano-statunitense (1846-48), Jeremiah Johnson, un uomo stanco e amareggiato dalla vita, decide di allontanarsi dalla "civiltà" e parte verso il selvaggio West. Intende intraprendere la via delle Montagne rocciose, diventando un mountain man o un trapper. L'inesperienza lo porta in breve ad avere però serie difficoltà nel sopravvivere in quell'ambiente, ma da lì a poco stringe amicizia con l'anziano trapper Chris Lapp (soprannominato "Artiglio d'orso"), che lo accoglie e gli fa da maestro. Una volta apprese le abilità necessarie per vivere tra le montagne, Johnson continua il percorso per conto suo. Ha un breve incontro con Mano che segna rosso, il capo della tribù dei Corvi, e, dopo una serie di avvenimenti, dove si ritrova sposato ad una giovane pellerossa e a badare ad un ragazzino orfano, individua un luogo adatto per costruire una capanna e stabilirvisi con la sua improvvisata famiglia. Il tempo aiuta i tre a sviluppare dell'affetto reciproco, e l'uomo e la donna finiscono con l'innamorarsi. La vita di Johnson sembra avere trovato finalmente un equilibrio, almeno fino a quando viene obbligato a guidare una spedizione di soccorso dell'esercito verso un gruppo di carri sperduti sulle montagne. Il percorso comprende il rischioso attraversamento di un cimitero dei Corvi, luogo tabù per gli estranei. La violazione del terreno sacro cambierà per sempre il suo destino..."

"Questo film inaugura una nuova tendenza nel genere western, con gli indigeni amerindi visti come una cultura ostile all'estendersi della civilizzazione, ma non inferiore né negativa. (...) Il conflitto tra la collettività dei legittimi padroni del luogo e la necessità storica del pioniere scatena una dura lotta, ma sfocia nella necessaria pratica della tolleranza." (dal Dizionario dei film Morandini)


"Da qualunque parte ti volgi, morirai, se non hai imparato come si vive in montagna." (da "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" - 1972)

Il film è liberamente ispirato alla figura del leggendario trapper John "Mangiafegato" Johnson e sul racconto che ne narra le gesta, "Crow killer: The saga of Liver-eating Johnson" ("L'uccisore dei Corvi: la saga di "Mangiafegato" Johnson") di Raymond Thorp e Robert Bunker, oltre che sul romanzo "Mountain man" di Vardis Fisher.

Sceneggiato principalmente da John Milius ed Edward Anhalt, nella sceneggiatura intervenne però anche il regista Sidney Pollack, che rivide e ammorbidì alcuni eccessi descritti da Milius nel carattere del protagonista, rendendo lui più umano e anche più plausibili le sue gesta, rappresentate nella nuova versione di Pollack in maniera sempre credibile e lontane da ogni stereotipo cinematografico o altra tentazione edulcorativa.

A dare poi la versione definitiva al personaggio di Jeremiah Johnson ci fu l'apporto, l'intelligenza e capacità recitativa di Robert Redford, davvero misurato nella sua interpretazione e perfettamente calato nel ruolo.

"Corvo rosso non avrai il mio scalpo" (la versione italiana del titolo, anche se evocativa, oltre a non c'entrare molto con il film, nel senso che non c'è nessun personaggio che si chiama in quel modo, è, per certi versi, anche fuorviante, perché suggerisce che si tratti di un'ennesima e scontata storia di scontri o sparatorie) è stata una pellicola determinante nella maturazione del western al cinema; fu portatore di novità soprattutto nella visione che offrì del rapporto tra uomini bianchi e i nativi americani e in Italia è stata anche una delle fonti di ispirazione per "Ken Parker", uno dei più importanti fumetti western di tutti i tempi (il cui protagonista ha il volto del Robert Redford visto in questo film). Pur se la narrazione del West nel film risulta inedita sotto moli aspetti, "Corvo rosso non avrai il mio scalpo" è e resta comunque un film pienamente americano, soprattutto nell'esaltazione e nella rappresentazione dei paesaggi naturali, che dominano incontrastati ogni momento della pellicola, come anche l'inno alla vita selvaggia, pienamente a contatto con la natura, insito nelle immagini. Una natura che qui è però del tutto indifferente e superiore alle vicende umane, che non ha niente di idilliaco, di materno o consolante e dove ogni errore può essere fatale.


Un'opera davvero solida questa di Pollack, resa perfetta da una scrittura e da una regia pulita e chiara, sensibile nel raccontare i personaggi e il contesto nel suo insieme, che non teme il passare degli anni e che può contare su un impianto realistico ma infinitamente ricco di suggestioni, che riesce ad integrare in maniera mirabile la dimensione epica di quel mondo e dell'avventura classica con una visione quasi documentaristica che difficilmente può lasciare indifferenti.

Il film affronta in maniera esemplare anche il problema della convivenza delle diverse etnie, e non casualmente questa necessità arriva alla fine degli anni '60, quando gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo di crisi dopo la guerra dei Vietnam, in cui gli americani hanno cominciato a rendersi pienamente conto che la radice della loro storia è stata impregnata del sangue di molti uomini, in particolare dei nativi, massacrati o condannati ad una lenta agonia. Anche nel cinema quindi, con questo magistrale titolo e con film come "Soldato blu", "Un uomo chiamato Cavallo", "Il piccolo grande uomo", gli indiani cominciano a non essere più rappresentati come semplici cattivi (o al massimo come buoni selvaggi), ma a possedere identità e culture ben delineate e ad avere dalla loro delle motivazioni più che comprensibili.

Torti e ragioni esistono da entrambe le parti, ma l'uso della violenza non risolve nulla e si rivela adatto solo a soddisfare le pulsioni più basse dell'essere umano; se si vuole arrivare a superare i conflitti bisogna necessariamente andare, per quanto è possibile, l'uno verso l'altro, cercando un punto di contatto e di somiglianza, e non di contrasto o di debolezza, cosa che nel film viene resa con una sapienza narrativa di primissimo livello, grazie ad inquadrature semplici ma decise, cariche di significato.

Qui trovate un trailer del film, i titoli di testa con la splendida ballata composta da Tim McIntire e John Rubinstein, una clip e un'intervista a Sydney Pollack:


Buona visione!


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