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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (25): "The Elephant man" di David Lynch (1980)

Aggiornamento: 14 mag 2023

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario)

"The Elephant man" di David Lynch (Regno Unito/USA - 1980)


Sceneggiatura: Christopher De Vore, Eric Bergren e David Lynch, adattata dai libri "The Elephant man and Other reminiscences" (1923) di sir Frederick Treves e "The Elephant man: A study in human dignity" (1971) di Ashley Montagu.


Con: Anthony Hopkins, John Hurt, Anne Bancroft, John Gielgud, Wendy Hiller, Freddie Jones, Michael Elphick, Hannah Gordon, John Standing, Dexter Fletcher, Phoebe Nicholls, Kenny Baker.


"La gente ha paura di ciò che non riesce a capire..." (John Merrick in "The Elephant man" - 1980)


"Mai. Oh, mai. Niente morirà mai. L'acqua scorre. Il vento soffia. La nuvola fugge. Il cuore batte... Niente muore." (da "The Elephant man" - 1980)


"Londra, seconda metà dell'800. A causa di una malattia molto rara, la neurofibromatosi, che gli ha deformato buona parte del corpo, il giovane John Merrick, ribattezzato "L'Uomo elefante", viene esposto come morbosa attrazione nel baraccone di Bytes, un alcolizzato che campa sfruttando la sua mostruosità e che lo tratta come una bestia. E' qui che Merrick viene scoperto dal dottor Frederick Treves, un chirurgo del London Hospital, che convince Bytes a cederglielo per qualche tempo in modo da poterlo studiare e, magari, curare. Portato in ospedale e presentato in un congresso di scienziati, John si rivela ben presto essere un uomo intelligente, con un animo sensibile, capace di citare brani della Bibbia o appassionarsi a Shakespeare, aspetti di sé che nascondeva per non essere maltrattato ancora di più da Bytes. Treves cerca in tutti i modi di aiutare Merrick, ma il suo è un caso clinico che gli sta dando anche notorietà ed è per quello che Bytes lo accusa di sfruttarlo in una maniera non diversa da come faceva lui, cosa che crea nel dottore non pochi dubbi sulla sua condotta. Mentre a Merrick si interessano sinceramente gli aristocratici londinesi, la principessa Alexandra e la famosa attrice di teatro Madge Kendal, il fuochista dell'ospedale tenta di approfittare della presenza di Merrick mostrandolo a pagamento a gente in cerca di emozioni. Per Merrick inizia un nuovo e tragico calvario, ma il destino ha in serbo per lui ancora alcune sorprese..."


In principio la sceneggiatura del film era stata offerta al regista Terrence Malick, il quale però ne rifiuta la direzione.

Viene allora contattato David Lynch, all'epoca poco più che trentenne, che ne rimane invece immediatamente colpito.

Scritta da Eric Bergen e Christopher de Vore, che si erano basati sui libri di Sir Frederick Treves e di Ashley Montagu, la sceneggiatura è in seguito modificata da Lynch, che la adatta in parte al suo stile.

Lo script arriva tra le mani di Anne Bancroft (che nel film interpreta Medge Kendal) che la passa a suo marito, Mel Brooks, allora agli esordi come produttore, che decide di realizzare il film e con Lynch dietro la macchina da presa, e questo dopo aver visto "Eraserhead - La mente che cancella" (1977), precedente opera del giovane regista.


Per David Lynch nulla è mai come sembra, e, nella sua personale ottica, dietro la superficie ordinaria delle cose e della realtà si nasconde sempre altro, spesso incubi, inquietudini o veri e propri mostri che fanno capolino nell'ordinaria esistenza, rivelando la bestiale natura umana in un alternarsi continuo di luce/ombra, veglia/sogno.

In "The Elephant man" Lynch compie però un percorso inverso rispetto ad altri suoi film, mostrando subito la mostruosità in tutta la sua crudezza e carnalità per poi andare oltre e svelare al suo interno la natura nascosta di un animo gentile.

L'intento che sta a cuore al regista emerge lentamente ma con determinazione, e ben presto gli spettatori si accorgono di quanto non è solo John Merrick a riconquistare la propria dignità, ma anche e soprattutto le persone che gli stanno intorno, quelle impegnate nel prendersi cura di lui, e sono loro che scopriranno il vero significato della parola "umanità".


Il male non è quello che ha deturpato il corpo di John Merrick, dunque, ma, per Lynch, è quello che si nasconde nell'animo di coloro che non riescono ad accettare il "diverso".

In questo può aiutare molto l'immaginazione, e lo sviluppo costante della stessa, che non deve fermarsi alle apparenze ma che anzi dovrebbe riuscire sempre a scavalcarle, come suggerisce anche la scena del film in cui Merrick, nella stanza della clinica dove è ricoverato, sta costruendo un modellino di una cattedrale: "Dalla mia finestra posso solo intravedere la punta della cattedrale che sto prendendo come esempio" - dice l'Uomo elefante -, "il resto lo devo immaginare".

Portare a termine il progetto della sua miniatura è, per Merrick, anche la costruzione della propria esistenza e identità della sua persona, riconosciuta infine come essere umano e non più come mostro.


Il regista è però attento a evitare ogni intento moralizzatore o melenso, e anzi, in molti punti, dal film emerge nitidamente, e anche con ironia, un senso di equivoco negli atteggiamenti dei personaggi che circondano Merrick, che spesso, per questo, si mettono in discussione, oltre che un discorso sull'ipocrisia, sull'ignoranza, sui pregiudizi, sulla bestialità o lo snobismo della gente.

Senza mai arrivare edulcorare la condizione del suo protagonista o a santificarlo, Lynch riesce comunque a darne un ritratto davvero sentito e colmo di calore.


Il film, per le sue atmosfere, contiene vari richiami alle opere di Charles Dickens, ed è decisamente più vicino a questo scrittore che a film come il "Freaks" (1932) di Tod Browning a cui invece è stato spesso accostato.

Per realizzare il pesante make-up sul corpo e volto di John Hurt, l'attore che si cela dietro la maschera di John Merrick (che lo costrinse a subire estenuanti sedute di diverse ore per l’applicazione e la rimozione dei vari strati di trucco, al punto da essere costretto a lavorare solo a giorni alterni per preservare la propria salute), David Lynch ottenne il permesso di prelevare dei calchi del corpo di Merrick, conservati tuttora nel museo del Royal London Hospital. Per la completa riuscita di "The Elephant man" va poi senz'altro sottolineato il bianco e nero curato dal direttore della fotografia Freddie Francis, le scenografie di Stuart Craig, gli splendidi costumi di Patricia Norris e le musiche di John Morris, che contribuiscono a renderla una pellicola di altissimo livello cinematografico.


"The Elephant man" si basa su eventi realmente accaduti ma si prende alcune libertà narrative, tra cui: il nome del personaggio, che era in realtà Joseph Carey Merrick (Leicester, 5 agosto 1862 – Londra, 11 aprile 1890); il fatto che Frederick Treves non portò via Merrick durante uno spettacolo per salvarlo dagli abusi dell'avvinazzato Bytes (personaggio inventato per questioni di trama), ma gli fu segnalato da un altro giovane chirurgo, che ebbe modo di vedere una sua esibizione tempo prima; il fatto che Treves non insegnò a Merrick alcuna parola, perché a causa della deformità sparsa in tutto il capo, la bocca risultava danneggiata impedendogli di poter parlare, e solo dopo numerosi interventi nell'ospedale cui era in cura, Merrick riuscì a farlo.


Alla 53ª edizione della cerimonia di premiazione degli Oscar il film ricevette otto candidature, senza vincere però alcun premio.

Mel Brooks affermò in merito: "Da qui a dieci anni, "Gente comune" (il film che vinse l'Oscar quell'anno) sarà la risposta a un gioco di società; ma la gente andrà ancora a vedere "The Elephant Man."

All'8ª edizione del Festival internazionale del film fantastico di Avoriaz del 1981, "The Elephant Man" fu premiato come film dell'anno.

Nel 1982 venne assegnato il Premio César come Miglior film straniero a David Lynch.

Dopo il successo ottenuto dal film, nel settembre del 1980 fu presentata a Broadway l'opera teatrale "L'uomo elefante", con David Bowie nel ruolo di John Merrick.


Qui di seguito trovate un trailer e una clip del film, un estratto dalla colonna sonora di John Morris e il celebre "Adagio for strings" (1938), di Samuel Barber, utilizzato in una importante scena del film:




Buona visione!


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