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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (24): "L'inquilino del terzo piano" di Roman PolaNski (1976)

Aggiornamento: 22 nov 2021

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario)

"L'inquilino del terzo piano" di Roman Polański ("Le Locataire" - Francia - 1976)


Sceneggiatura: Gérard Brach e Roman Polański, tratta dal romanzo "Le locataire chimérique" di Roland Topor, del 1964.


Con: Roman Polański, Isabelle Adjani, Melvyn Douglas, Jo Van Fleet, Claude Piéplu, Bernard Fresson, Shelley Winters, Lila Kedrova, Jean-Pierre Bagot, Michel Blanc, Josiane Balasko, Claude Dauphin, Romain Bouteille


"Un modesto impiegato di origini polacche, Trelkovski, è in cerca di un appartamento a Parigi. Ne trova uno libero, che è stato abitato, gli si racconta, da una ragazza, Simone Choule, che poco tempo prima ha tentato il suicidio gettandosi dalla finestra. Turbato da quel gesto, Trelkovski si reca all'ospedale dove è ricoverata la giovane per cercare di parlarle dell'appartamento, ma questa è in fin di vita; per di più, alla sua vista sembra avere una crisi isterica. L'uomo entra in ogni caso in possesso dell'appartamento (o, sarebbe meglio dire, è l'appartamento a prendere possesso di lui). Da subito comincia a essere oggetto di una serie di angherie da parte degli altri inquilini, che lo trattano come se fosse la povera Simone. Anche i negozianti della zona sembrano volergli cucire addosso l'identità della donna e Trelkovski, pian piano, inizia a perdere coscienza di sé, cominciando a mischiare la realtà con le proprie psicosi..."


"Gli intrighi e i complotti su questioni di straordinaria meschinità e cospirazioni inspiegabili tra i vicini per incastrarsi l'uno con l'altro fanno di L'inquilino del terzo piano probabilmente il primo film horror kafkiano". (Richard Scheib) Tratto da un romanzo di Roland Topor, "L'inquilino del terzo piano" rappresenta uno dei più alti risultati della personale poetica di Roman Polański, che ha spesso cercato di raccontare nel suo cinema come la quotidianità possa facilmente tramutarsi in incubo. In tal senso, questo è sicuramente il suo film più kafkiano, per come racconta il percorso verso una profonda alienazione sociale in cui non si capisce bene cosa spaventi di più lo spettatore (e il personaggio interpretato da Polański), cioè se ad atterrirlo maggiormente sia la progressiva discesa negli abissi della follia da parte del protagonista o se non si tratti invece della realtà metropolitana che lo circonda, fatta di colleghi pettegoli e insensibili, di scortesie gratuite e meschine sopraffazioni del quotidiano vivere, di persone affamate di potere, oltre che di denaro e sesso, ma aride di sentimenti, di impieghi spersonalizzanti e di un vicinato che desidera solo il tuo silenzio e la tua immobilità (e a volte la tua rovina). Il film risulta in ogni caso un cupo dramma sulla diversità e sulla figura dello straniero, e di come può essere vissuta la sua presenza in un contesto sociale chiuso e in balia delle proprie ossessioni e paure.


Ma molte sono le possibili letture della surreale vicenda narrata, a cominciare dalla paranoia e/o schizofrenia del protagonista (ma anche della società in cui vive, tema più volte affrontato da Polański nella sua carriera, e lo testimoniano titoli come "Repulsion" e "Rosemary’s baby"), magari dovuta ad una omosessualità non dichiarata né espressa, o ad un desiderio di autodistruzione (sempre presente nell'essere umano); il tema del Döppelganger e lo sbriciolamento graduale della propria identità; potrebbe essere una metafora e riflessione sulla condizione dell'artista, in bilico tra follia e razionalità estrema e ossessionato da un pubblico che non lo capisce; o l'inesorabilità del destino mortale dell'Uomo. Le innumerevoli simbologie egizie presenti nel film (dalla fasciatura che avvolge completamente i corpi di Simone Choule e di Trelkovski nel letto di ospedale dopo i loro tentativi di suicidio e che li fanno sembrare delle mummie, ai geroglifici sulle pareti dell'edificio con le classiche figure degli dei zoomorfi, di piramidi, uccelli, pesci, occhi e croci ansate, insieme alle loro di immagini - della Simone e di Trelkovski - sempre in stile egizio, che continueranno ad "abitare" in eterno nello stabile), inoltre, farebbero poi supporre anche alla tematica della reincarnazione (anche il buco nel muro nel quale viene ritrovato il dente mancante di Simone può essere considerato una "camera funeraria in miniatura", e del resto gli egizi ed altri popoli antichi erano soliti farsi seppellire con gli oggetti a loro appartenuti da vivi, evidentemente nella speranza della loro utilità al momento della rinascita).


In una delle sue riflessioni, Trelkovski dice: "Il dente è una parte di noi stessi... come un pezzo di personalità: da qualche parte ho letto di un uomo che aveva perso un braccio in un incidente e voleva farlo seppellire; le autorità lo proibirono ed il braccio venne così cremato. Mi domando se gli avevano rifiutato le ceneri… Ti tagli un braccio e dico me e il mio braccio; mi togli anche l'altro braccio e dico me e le mie due braccia, mi togli lo stomaco, i reni, ammettendo che sia possibile e dico me e il mio intestino. Se tagli la mia testa dico me e la mia testa o me e il mio corpo? Che diritto ha la mia testa di chiamarsi me?", in più, almeno nel romanzo, Simone Choule aveva lasciato da un amico un libro che stava leggendo (quasi come presagio della sua fine), cioè "Romanzo di una mummia" di Théophile Gautier, che racconta del ritrovamento di una mummia miracolosamente conservata (appartenente a Tahoser, la giovanissima e bellissima figlia del grande sacerdote Petamonouph, morto lasciandola ricca e potente. Nonostante che il faraone Ramses si fosse invaghito di lei, essa si era invece innamorata del giovane schiavo israelita Poeri, che però amava Ra'ele, una schiava come lui. La decisione di Mosé, interpellato, è che Tahoser divida il suo amato con la schiava e rinneghi gli dei d'Egitto a profitto di Jehovah. Tahoser accetta. Ma il faraone la fa rapire e la porta come promessa sposa nel suo palazzo. Da li si originarono le sette piaghe d'Egitto e la fuga degli ebrei mentre il faraone verrà inghiottito dal Mar Rosso. Tahoser morirà giovane e sola, inumata nella magnifica tomba prevista per Ramses); infine, l'idea (espressa da diversi critici) che il film sarebbe invece una quasi autobiografia del regista, una (di certo delirante) versione della sua vita, e ad avvalorare questa tesi c'è anche il fatto che Polanski abbia cambiato le origini del protagonista rispetto al romanzo (da russo a polacco) e che durante la narrazione si evincono stralci del suo percorso da regista (gli scherzi razzisti che ha subito, la freddezza di chi gli stava vicino).


Alcune situazioni sono esasperate fino al grottesco, ma non suscitano mai una risata: in fondo vivere a Parigi, come in qualsiasi altra città occidentale, è sempre cosa ardua perché molto costosa, e i tanti Trelkovsky che cercano di rimanerci con il loro modesto salario e che arrivano a scendere a compromessi e a volte a subire umiliazioni, neanche si accorgono di lasciarsi trasformare, giorno dopo giorno, in prede spaventate, che finiscono solo per desiderare un piccolo rifugio dove ritirarsi e in cui aspettare che la vita passi, senza più reagire. Trelkovsky, poi, è un uomo dal passato oscuro il cui cognome evoca i tragici scenari della guerra e dei campi di concentramento. Nel film (come nel libro) siamo circa negli anni '60, e per un polacco sui quarant'anni che è sempre vissuto in Europa bisogna immaginare dei trascorsi piuttosto difficili. Più prova a ricordare la sua esistenza passata, meno gli torna in mente. È un solitario, che ha trascorso la vita soffrendo per una presunta e confusa diversità che continua a farlo vivere in mezzo alla gente impedendogli di avvertirne il calore, la comprensione, l'affetto, ma anzi vede e percepisce solo l'aggressività e la cattiveria dei forti sui deboli.


Il film si avvale dei magici grandangolari deformanti di Sven Nykvist, che riescono a ricreare sia l'atmosfera delirante che i momenti di lucidità vissuti dal protagonista, e farne partecipare completamente lo spettatore. Alla sua uscita il film non ebbe un particolare successo, né di critica né di pubblico, e lo stesso Polański lo descrive come "Un’esperienza interessante, nonostante i suoi difetti. La follia di Trelkovski sarebbe stata rappresentata in modo non progressivo, con dei salti troppo bruschi e inattesi, allucinazioni e variazioni di umore troppo improvvisi. Inoltre, perfino i cinefili più avvertiti accettarono male la mescolanza dei generi. Se il film non è riuscito, sono comunque l'unico responsabile. E' un film della maturità, che curiosamente mi riporta agli inizi della mia carriera, dove l'emozione si mescolava allo humour, con un po' di simbolismo. Non è una farsa, ma vorrei che il pubblico ne cogliesse lo humour e trovasse il mio personaggio buffo, ma anche patetico. E spero che sia toccante, che la gente possa identificarsi con lui. Ho voluto fare un film sull'angoscia, non sulla paura. Trelkovski non sono io, non completamente, almeno. Io non provo vertigine davanti all'angoscia degli altri: mi ribello in modo aggressivo, mentre lui lo fa in modo autodistruttivo. E' un tipo che abita in un quartiere qualunque di Parigi: ho voluto che sia comune e un po' retrò, ma ho tolto tutti gli elementi spettacolari e bohémiens che avrebbero potuto riferirsi alla mia biografia".


A dispetto delle previsioni, però il film continua invece ancora oggi, a distanza di quasi 40 anni dalla sua uscita, ad essere oggetto di interpretazioni.

"L'inquilino del terzo piano" è una pellicola in cui qualunque cosa si riesca a spiegare va irrimediabilmente in contrasto con qualcos'altro (e il titolo del romanzo di Topor, "Le Locataire chimérique" - che evoca qualcosa d'altro oltre la storia di un inquilino, e cioè la mostruosità della chimera, che notoriamente è la fusione di animali diversi in un unico essere - può essere anche significativo in questo senso). Il film ha una struttura narrativa non solo simmetrica, ma addirittura perfettamente circolare, e in un'intervista Polański disse: "La circolarità è una forma di eleganza che mi ha sempre sedotto nel cinema. Mi piacciono le opere dove c'è un inizio, uno sviluppo e un finale in cui si ritorna al punto di partenza. Spesso anche nelle opere musicali c'è questo tipo di struttura. La costruzione dell'opera è importante per me, mi sembra che si debba sempre finire su di una nota tenuta".


È uno dei primi film dove venne utilizzata la louma (una gru snodata per riprese video, in cima alla quale è fissata una macchina da presa munita di controllo a distanza. Il dispositivo è stato messo a punto da due francesi, Jean-Marie Lavalou e Alain Masseron, da cui il nome: LavaLOU + MAsseron), e non ha titoli di coda, ma si conclude con il solo logo della Paramount, mentre nella sequenza d'apertura si può sentire uno degli inquilini che studia lentamente "La caduta di Varsavia" di Fryderyk Franciszek Chopin, non a caso un autore polacco.

Il film venne girato in parte in lingua inglese e in parte in francese, a seconda di come si trovavano meglio a recitare gli attori. In post-produzione furono prodotte diverse versioni del film in lingue differenti, con parte del cast che si doppiò sia per la versione inglese che per quella francese, mentre il resto dei personaggi francesi fu doppiato da attori statunitensi. Polanski doppiò se stesso nel film in tre lingue diverse: versioni inglese, francese ed italiana. Trovate qui il trailer:

e i titoli di testa del film:

Buona visione!


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