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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (14): "Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman (1957)

Aggiornamento: 9 mar 2020


"Il settimo sigillo" di Ingmar Bergman ("Det sjunde inseglet" - Svezia - 1957)


Soggetto e sceneggiatura: Ingmar Bergman, tratta dal suo dramma "Pittura su legno" ("Trämålning") del 1955.


Con: Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Bengt Ekerot, Nils Poppe, Bibi Andersson, Inga Gill, Maud Hansson, Inga Landgré, Gunnel Lindblom, Bertil Anderberg, Anders Ek, Åke Fridell, Gunnar Olsson, Erik Strandmark, Ulf Johansson, Lars Lind, Gudrun Brost, Benkt-Åke Benktsson.


"Quando l'agnello aprì il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz'ora e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe." ("Apocalisse, 8,I" - frase che apre il film)


"Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte." (da "Il settimo sigillo" - 1957)


"In queste tenebre dove tu affermi di essere, dove noi presumibilmente siamo... in queste tenebre non troverai nessuno che ascolti le tue grida o si commuova della tua sofferenza. Asciuga le tue lacrime e specchiati nella tua stessa indifferenza..." (da "Il settimo sigillo" - 1957)


- "Perché non la smetti di fare tante domande?" - "No, non la smetterò." - "Tanto nessuno ti risponde." (dialogo tra la Morte e Antonius Block da "Il settimo sigillo" - 1957)


"1347. In Scandinavia imperversa la peste, e lì torna dalle crociate combattute in Terra Santa il nobile cavaliere Antonius Block. Al suo arrivo, sulla spiaggia dove sbarca trova ad attenderlo una strana figura, che si rivela essere la Morte, ed ha scelto proprio quel momento per portarlo via con sé. Il cavaliere però le propone un patto: il tempo che avrà ancora da vivere sarà legato all'esito di una partita a scacchi tra loro due. Durante le varie fasi della sfida, che continua nei vari incontri tra il cavaliere e la Morte, Block e Jöns, il suo scudiero, proseguono il loro viaggio verso il castello del nobile, attraversando un paese in preda alla disperazione e allo sgomento, dove è sempre più difficile trovare esempi di pace e fratellanza. I due si imbattono però anche in una famiglia di saltimbanchi, che sembrano vivere in un mondo tutto loro non accorgendosi della tragedia che li circonda, uniti solo dall'amore reciproco. Questo incontro sarà determinante per Block, e lo aiuterà ad accettare il suo destino..."


Per Ingmar Bergman l'origine del film è collegata alla nascita di un suo precedente dramma teatrale, "Pittura su legno", un atto unico della durata di una cinquantina di minuti, preparato nel 1954 per la Scuola d'Arte Drammatica di Malmö, presso la quale insegnava. Un paio d'anni dopo, ascoltando i "Carmina Burana" di Carl Orff, ebbe l'idea di rielaborare e trasformare quell'opera in un film, ed è da quel momento che prende forma "Il settimo sigillo".

Il film fu girato a Hovs Hallar, nella riserva naturale di Scane (dove, nel 1968, Bergman realizzò anche "L'ora del lupo"), negli atrii del Castello Reale di Råsunda e in parte nella vecchia Città dei Film (Filmstaden) di Solna. Per penetrare nell'ambientazione livida dei secoli più bui del medioevo, e anche per la esatta comprensione delle tematiche del film, il regista raccontò che la maggiore ispirazione per il suo lavoro la recuperò da esperienze vissute nell'infanzia e adolescenza, quando gli fu permesso di accompagnare suo padre, pastore luterano, al lavoro, cioè durante le prediche che teneva nelle piccole chiese dei paesi intorno a Stoccolma. Per il piccolo Bergman erano viaggi festosi, tanto era rapito da quello che vedeva sia nel mondo durante i percorsi (cose che il padre gli raccontava con attenzione e scrupolo) e sia nelle chiese, dove quello che lo coinvolgeva non erano tanto le parole del padre ma gli edifici in sé, con i loro odori, colori e le rappresentazioni bibliche dipinte e scolpite in molti modi, che gli accendevano la fantasia con tutte quelle immagini piene di angeli, demoni, draghi o altre creature, oltre, ovviamente, la Morte. Tutto quel bagaglio di sensazioni il regista lo elaborò nel tempo, facendo poi convogliare il tutto in questa pellicola.


L'ambientazione trecentesca aiuta a contestualizzare il mondo in cui si muovono i personaggi, tra inquisizioni, roghi, fedeli terrorizzati dal clero e dalla stregoneria, oltre che la concezione religiosa presente nel film: la crisi sociale di quel periodo, dovuta anche alla diffusione della peste (morbo che decimò buona parte della popolazione europea) diedero il via al crollo della "religione delle certezze" tipicamente medievale e dantesca, dove non esisteva il dubbio ma solo la piena e spesso passiva fede cristiana, accompagnata dalla ragione (qui incarnata dallo scudiero Jöns), che aiutava l'uomo a meglio comprendere buona parte delle tematiche bibliche. E proprio in contrasto con i dettami dominanti, anche per il personaggio di Antonius era ormai arrivato il tempo per un credo più maturo e quindi non esente da dubbi, che induce a riflettere sull'ignoto ma allo stesso tempo maggiormente consapevole sul mondo reale.

Anche se il tema che più risulta evidente è quello del trapasso, il film pone anche altre questioni, comunque complesse, e cioè il rapporto tra l'uomo e l'onnipotente di fronte alla caducità della vita, attraverso un percorso che porta il protagonista a confrontarsi con la paura e la disperazione tipica degli uomini di fronte alla meta finale, un timore che può portare ad abbracciare l'idea di Dio oppure a rifiutarla, come tentativo estremo di allontanarsi dalla fine. Ma, come è stato scritto in alcune recensioni, nel film è evidente la rinuncia da parte dell'autore a fornire una risposta univoca alle angosce del crociato, e invece ne suggerisce un'adombrata soluzione, una speranza che è al tempo stesso un monito.

I personaggi centrali del film sono principalmente il cavaliere e lo scudiero, oltre che la famiglia di saltimbanchi, e tutti propongono valide argomentazioni per sostenere il proprio punto di vista, aprendo le porte anche su altre tematiche. Antonius Block, il cavaliere, una figura che ha abbracciato una vita legata ad una fede che ora gli risulta vacillante ed è quindi assalito dal dubbio, ritorna deluso dalla Crociata e attraversa un periodo di crisi così netta che confidandosi con un monaco - che in realtà è la stessa Morte travestita -, dice che il suo cuore è vuoto, pieno di paura e indifferenza verso i suoi irriconoscibili simili, e alla domanda della Morte: "Non credi che sarebbe meglio morire?" il cavaliere risponde che l'ignoto lo atterrisce e che vorrebbe avere la certezza dell'esistenza di Dio, perché se Dio non esiste l'intera esistenza è un vuoto senza fine. Block sa che la sua sfida con la Morte non può che avere un solo esito, ma gli occorre tempo per accettare il suo destino, e, ancora di più, l'eventuale assenza di Dio. Jöns, lo scudiero, saggio ma materialista, è pronto a dispensare suggerimenti e giudizi su tutto e tutti, ma cela nel suo sguardo il terrore dell'avvenire. Infine la famiglia costituita da Jof, Mia e Micael è una probabile allegoria della sacra famiglia, che offre un timbro solenne e luminoso a questo particolare inno alla vita; persone per cui è lecito perdere la partita con la Morte pur di offrir almeno a loro una possibilità in più di salvezza.

Ne "Il settimo sigillo", il regista svedese interroga in molti modi se stesso (e il pubblico) sul millenario silenzio di Dio (e su cosa può essere una valida alternativa a questo, come scoprirà Block) ma lo fa attraverso una varietà di registri diversi.

Tutto il film è permeato di grandi suggestioni visive e Bergman usa in modo magistrale le luci e le ombre, in un bianco e nero nitido e accecante (curato da Gunnar Fischer) colmo di riferimenti e di influenze pittoriche, come nella scena dove il cavaliere gioca a scacchi con la Morte (ispirata all'affresco di Albertus Pictor presente nella chiesa di Täby kyrkby); una rappresentazione così evocativa e forte che è entrata nell'immaginario comune.


Alla buona riuscita del film contribuì l'indovinato cast di attori, composto da un intenso e ispirato Max von Sydow, uscito dalla scuola d'arte di Stoccolma, nelle vesti del protagonista, da una brillante Bibi Andersson, alla sua prima esperienza, e da Nils Poppe, attore comico alle prese per la prima volta in un ruolo drammatico.


Il film ha ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui: Premio Speciale della Giuria (ex aequo con "I dannati di Varsavia" di Andrzej Wajda) al Festival di Cannes 1957, il Lábaro de oro alla Seminci, la Semana Internacional de Cine de Valladolid, nel 1960, il Nastro d'Argento nel 1961 a Ingmar Bergman come regista del miglior film straniero, il Cinema Writers Circle Awards 1962 come migliore film straniero e il Fotogramas de Plata 1962 a Max von Sydow come migliore attore straniero.


Qui di seguito trovate diverse clip del film che ben suggeriscono le atmosfere e le tematiche presenti nella pellicola:




Buona visione!


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