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  • Immagine del redattorePasquale Frisenda

Settima arte (13): "In the mood for love" di Wong Kar-wai (2000)

Aggiornamento: 15 gen 2023

Video, immagini e brevi informazioni su film e documentari che hanno segnato la storia del cinema (o solo il mio immaginario)

"In the mood for love" di Wong Kar-wai ("Fa yeung nin wa" - Hong Kong/Francia - 2000)


Soggetto e sceneggiatura: Wong Kar-wai.


Con: Maggie Cheung, Tony Leung Chiu-Wai, Ping Lam Siu, Rebecca Pan, Kelly Lai Chen.


"La nascita del desiderio, prima ancora che nella fantasia di un rapporto, si manifesta come un eccesso di attenzione. L'amore è lo scambio di un'ansia reciproca." (Mario Sesti su "In the mood for love" da "Sex!" - supplemento a Ciak n.10 - 2003)


"Visto che è successo, che importa chi ha cominciato?" (da "In the mood for love" - 2000)


"Hong Kong, 1962. I coniugi Chow e i coniugi Chan si trasferiscono lo stesso giorno in due appartamenti contigui. Sono il signor Chow e la signora Chan a rientrare più di frequente a casa ed è così che, nel giro di breve tempo, scoprono che i rispettivi consorti sono amanti. La volontà di comprendere le ragioni del tradimento li porterà a frequentarsi sempre più spesso e a condividere le sensazioni provate, con un esito inaspettato..."


Nei loro incontri, che iniziano ad avvenire dopo che entrambi casualmente scoprono che sono stati traditi, i due accidentali vicini di casa, interpretati da Tony Leung e Maggie Cheung, tentano in qualche modo di esorcizzare il dolore e il senso di sconfitta o perdita: si parlano come se parlassero al proprio marito e alla propria moglie (coniugi che non vengono mai mostrati), ma poi iniziano a guardarsi, a cercarsi, capirsi, e con loro sorpresa, finiscono a loro volta per innamorarsi. Nella pellicola è evidente l'impegno rivolto sia verso il mondo in cui sono inseriti i personaggi, pienissimo di colori, dettagli e atmosfere, che sul raccontarli attraverso movimenti dilatati, rallentati, e sulle riflessioni che sviluppano intorno allo sforzo di comprendere quello che gli è capitato. Più che reagire con rabbia al fatto in sé, cercando all'inizio di comprendere come sia potuto succedere, chi dei due abbia potuto iniziare e quali siano state eventuali loro mancanze, giorno dopo giorno prendono atto che sono cose inutili, anche perché la stessa cosa sta accadendo a loro due, pur se in modo molto più velato. Un "amore" che non avrà mai un inizio, perché entrambi temono di essere giudicati dagli altri, di viversi un sentimento che forse è solo frutto di una forma di vendetta, ma non avrà neanche una fine, e così facendo lo lasciano trasportare nelle pieghe degli impegni quotidiani e dagli anni che passano inesorabili.


Il film non fu basato su una vera sceneggiatura - che è stata scritta anzi in tempo reale dal regista e anche dagli attori, anche se è incredibile pensarlo guardando poi il risultato, perfettamente omogeneo, e molto materiale elaborato è poi servito per il successivo "2046", che ne è in parte una sorta di sequel -, ma vive di infiniti elementi, di uno stile narrativo rarefatto, elegante, che molti hanno avvicinato al cinema di Michelangelo Antonioni e di Robert Bresson, riferimenti chiaramente indicati dallo stesso Wong Kar-wai, e dall'evidente poesia che quasi ogni singola inquadratura trasuda, e queste sono probabilmente le chiavi per accedere al mondo creato nel film, un autentico capolavoro di emozioni trattenute (a stento) negli animi dei due protagonisti. Ogni oggetto messo in scena chiede uno sguardo e un'attenzione molto più profonda di quello che all'apparenza mostra e racconta (come gli orologi, che segnano il tempo in modo scoordinato, come se gli avvenimenti fossero ricordati a memoria, e quindi in maniera imprecisa), e un'attenzione particolare è stata dedicata anche al cibo consumato dai personaggi; tutti piatti preparati in particolari periodi dell'anno e con specifici ingredienti, cosa che per il pubblico cinese determina con precisione il passaggio del tempo ma dettaglio che per gli spettatori occidentali si perde (Kar-wai aveva pensato anche ad un'introduzione al film che raccontasse quell'aspetto, ma poi l'idea venne accantonata perché risultava troppo didascalica). Impossibile poi non sottolineare anche la luminosa eleganza della figura di Maggie Cheung, il personaggio dalla quale traspare l'estrema cura (dalle pettinature a ogni singolo abito indossato) con cui l'intero film è costruito. Le scenografie complesse ed elaborate, le luci soffuse che esaltano le cromie della fotografia di Christopher Doyle (rodato collaboratore di Kar-wai ma che però dovette lasciare il set prima della fine della lavorazione, sostituito da Mark Lee Ping Bin, direttore della fotografia con cui il regista non aveva mai lavorato e che lo spinse a dedicare un'inedita attenzione alle immagini), capace di rendere le immagini incredibilmente ammalianti e morbide (soprattutto nei primi piani) e rendendo chiare inquadrature complesse con molti elementi in primo piano che velano personaggi e gesti, e, non da ultimo, il tema portante della meravigliosa e malinconica colonna sonora, un valzer firmato Shigeru Umebayashi e che, ossessivamente riproposto, accompagna lo svolgersi della storia, fino al finale, dove, per sottolineare il cambio di luogo e di tempo, entra in campo la musica realizzata da Michael Galasso. Tutto contribuisce alla riuscita di quello che è considerato il capolavoro di Wong Kar-wai.

Le riprese, che si prolungarono per ben quindici mesi, vennero effettuate a Bangkok e in Cambogia per gli esterni, a Hong Kong per gli interni. Nel film la storia d'amore tra i personaggi si esaurisce nel giro di pochi anni, ma nel progetto iniziale doveva protrarsi per ben dieci anni, facendoli incontrare a distanza di tempo. Furono girate anche diversi finali alterativi, ambientati negli anni '70, ma il regista alla fine optò per la che si vede nel film.


Il binomio sesso-castità è una ulteriore chiave dell'opera (il titolo originale cinese significa "L'età della fioritura", dal romanzo di Liu Yichang): come dei poco graditi voyeur (moltissime inquadrature mostrano i personaggi visti attraverso finestre o dietro oggetti in primo piano, come se fossero spiati, appunto), gli spettatori vengono volutamente esclusi dagli atti più privati dei due; si è testimoni solo di una palese frustrazione ma anche del loro incontenibile desiderio d'amore, per quanto non lasciato sfogare, perennemente ostacolato dal buon senso e dalla ragione, che attanagliano i personaggi con tutto il peso dell'inganno di cui sono stati vittime e della società in cui vivono (nel film il regista non rinuncia a dare una sua lettura dei grandi cambiamenti sociali in atto nella Cina, e ad Hong Kong in particolar modo, in quel periodo storico). Ma, nonostante questo, dietro la "porta chiusa" si può avvertire tutta la carnalità di questa passione sospesa ma non per questo meno dolorosa: non è importante che essa venga realmente consumata, perché l'emozione vissuta è tanto palpabile da andare oltre l'atto in sé. L'erotismo nel film è presentissimo ma non è mai e in nessun modo ostentato, e la grande sensualità della protagonista femminile viene enfatizzata unicamente dalle immagini, che seguono con attenzione il suo corpo e i suoi movimenti, quasi ad accarezzarla, a celebrarla, ma sempre a rispettosa distanza, senza mai diventare invadenti.


Per quanto il cinema orientale sia davvero un altro mondo per il pubblico occidentale, non si può non rimanere colpiti dal modo con cui Wong Kar-wai ha tramutato la sua particolare (ma anche semplice) storia in uno stato d'animo (un mood, appunto) totale e assolutamente collettivo, che supera con facilità ogni barriera culturale. "In the mood for love" risulta quindi essere un film affascinante e struggente, ed insieme a "2046" (del 2004), che, come detto, ne è un ideale seguito, formano due opere bellissime sia da guardare che da ascoltare.


Qui trovate il trailer, una clip e un'analisi del film attraverso le immagini che lo compongono:



mentre questa è "Yumeji's theme" di Shigeru Umebayashi (musica portante dell'intero film di Kar-wai, composta originalmente per la la ost di "Seijun Suzuki's Yumeji" e richiesta espressamente dal regista come base su cui definire il ritmo dell'intera storia):

Buona visione!


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